Quando mi è stato proposto dalla Pro Loco di Fobello di raccontare il pizzo puncetto valsesiano per me è stata una sorpresa.
Avevo già dedicato un post al puncetto, ma ritornare a Fobello con maggiore consapevolezza mi ha permesso di cogliere dettagli rimasti precedentemente nascosti e inosservati.
- Fobello, tra i “Borghi Accoglienti” del Piemonte
- Il progetto “Puncetto Day”
- Il pizzo puncetto
- Dal pizzo puncetto all’abito di Fobello
- La camicia
- Il vestito o busto
- Grembiule o faudà
- Ligam
- La pezza o pitrà
- Giacca
- Accessori
- La tradizione del battesimo fobellino
- Il dipinto La nascita di Enrico Crespi
- Il pizzo puncetto valsesiano a Fobello – Seconda Edizione
- Il futuro del pizzo puncetto e del costume valsesiano
Fobello, tra i “Borghi Accoglienti” del Piemonte
Per chi non avesse letto il precedente post, Fobello appartiene ai ventinove comuni della Valsesia, una vallata alpina in provincia di Vercelli. Il Touring Club Italiano inserisce il caratteristico paese tra i “Borghi Accoglienti” e ne regala una perfetta descrizione:
Fobello è situata a 873 mt s.l.m. in una valle laterale della Valsesia, nella Valle Mastallone. Proprio per il contesto paesaggistico notevole, il territorio è inserito nel Parco dell’Alta Valsesia. Il piccolo e accogliente centro storico custodisce ancora numerose tradizioni, come l’arte del puncetto, ovvero “piccolo punto”, che consiste in una serie innumerevoli di piccoli nodi sovrapposti ed alternati in modo da formare un pizzo prezioso dai motivi geometrici. Altra tradizione antica tramandata è il rito del battesimo: il bambino viene messo in una culla di legno e avvolto in un panno rosso. La culla viene poi posta sulla testa di una ragazza vestita in costume tipico, che trasporterà il bambino fin davanti la chiesa. [..]
In un’assolata giornata di inizio estate, sulle parole della guida del Touring Club Italiano, Fobello celebra come due elementi chiave di un percorso espositivo, il puncetto e il battesimo.
Il progetto “Puncetto Day”
Il “Puncetto Day” rinnovato con la seconda edizione, ha origine dalla nobile necessità di salvaguardare e rendere omaggio ad una cultura del passato, contraddistinta da piccoli gesti sapienti. Il “giorno del puncetto” diventa dunque un momento di ricordo e i volti di genitori e nonni oggi sembrano essere più sorridenti. Il ricordare però non è l’obiettivo ultimo dell’evento: tutto il paese è in festa, volenteroso, affinché le tradizioni del passato possano riprendere vita ogni giorno.
Non è stato semplice per una vallata impervia e un tempo chiusa al dialogo esporsi e rimettere in discussione il passato. Si è sentito però l’estremo bisogno di un cambio di paradigma: sono state riprese antiche ricette e capienti armadi sono stati riaperti per mostrare i ricchi costumi con l’occasione di permettere una completa divulgazione delle tradizioni artigianali.
Confrontandomi con la Pro Loco Fobello (e grazie a una mattinata trascorsa sui libri di storia locale presso la biblioteca di Varallo), le nostre idee e riflessioni hanno trovato come per magia dei punti in comune, si sono amalgamate. Una conoscenza approfondita del territorio da una parte e un forte studio, interesse dall’altra, hanno dato vita a uno scambio culturale unico.
Ma è merito di tutti gli attori coinvolti (artigiani, commercianti, volontari ecc.) se l’evento è stato ripresentato per la seconda volta. E’ anche grazie a loro se ho l’opportunità di raccontare ad un pubblico più ampio i saperi (anche) immateriali che questa valle custodisce.
Il pizzo puncetto
Il libro Figlie dell’arte. Il puncetto in Valsesia ormai introvabile, se non nelle biblioteche della valle, riporta la data del 1984. Sono passati trentanove anni dalla pubblicazione. Un testo di poche pagine, qualche scritta e immagini che si alternano. E se il libro fu pubblicato con l’intento di lasciare il segno della tradizione del pizzo puncetto, il paese di Fobello con la seconda edizione del Puncetto Day, ha saputo coglierne il messaggio.
Diverse e intricate sono le opinioni riguardo l’origine del pizzo puncetto. Alcuni studi fanno risalire il merletto ad ago a leggendari racconti sulle origini saracene, altri invece, come Giovanni Galino (autore del libro Le figlie dell’arte. Il puncetto in Valsesia) considerano il pizzo un prodotto autoctono valsesiano che per secoli ha ornato i costumi delle donne della vallata. Se da una parte ci sono fonti incerte sul pizzo composto da piccoli punti, dall’altro canto è possibile per certo confermare la sua origine antica.
L’arte ancora una volta viene in soccorso, alimentando questa ricerca così affascinante e misteriosa.
Le prime testimonianze probabilmente risalgono alle Madonne di Gaudenzio Ferrari di inizio Cinquecento, ma cenni di puncetto è possibile trovarli anche nella Cappella numero quattro del Sacro Monte di Varallo, nella scultura Madonna che cuce. Nella rappresentazione ottocentesca degli artisti valsesiani l’elemento del puncetto divenne invece reale e riconoscibile. Fu grazie a personalità nobili, che l’intricato pizzo si diffuse poi in tutta Europa.
I momenti di oblio si susseguirono, con tentativi nel corso del Novecento di rilanciare il merletto in collezioni di alta moda o tramite mostre e pubblicazioni.
Attualmente il puncetto vive grazie a diverse e nobili iniziative.
L’arte mostra come il pizzo puncetto sia sempre stato una prerogativa per le donne della vallata, nonostante esso non costituì mai un vero e proprio mestiere, ma solo un’integrazione ad una pesante giornata lavorativa.
Puncetta, dunque, anche quando nel prato pascolano le mucche, quando attente ai nipotini che si svaghino in cortile. Quando poi viene l’ora di impegni indilazionabili, avvolge il lavoro fatto in una pezza di tela bianca e lo ripone a casa nell’immancabile scatola dove trova posto tutto l’occorrente per il suo incessante lavoro.
Chi l’avrebbe mai detto che gesti nobili, di pieni e vuoti effettuati la sera a lume di candela sarebbero stati i protagonisti di un’intera giornata!
Dal pizzo puncetto all’abito di Fobello
Accanto all’attività manuale del puncetto ne esistevano altre: la produzione e lavorazione della canapa, della lana, del lino e della seta, in un’economia di autosufficienza. Prodotti a telaio e poi tinti con colori naturali (mallo di noci, castagno, erica ecc.) i tessuti erano poi confezionati seguendo la foggia dell’abito del paese di provenienza.
Il puncetto pizzo valsesiano a Fobello nel giorno del Puncetto Day era accompagnato e presentato di pari passo con i differenti costumi fobellini. La Valsesia è ricca di abiti tipici alcuni dei quali si sono conservati nel tempo; ciò che li accomuna tutti è però il puncèt.
Il puncetto secondo Galino:
doveva guarnire l’abito o probabilmente è sorto nel momento in cui si voleva andare ad “ingentilire” l’abito. Il primo passo fu appunto quello di sostituire il colletto e i polsi. […]
Il costume tradizionale si articola essenzialmente in tutta la vallata allo stesso modo, ma ciò che lo differenzia da una località all’altra sono alcuni dettagli. L’abito base femminile (sia lutto, mezzolutto, festa ecc.) è definito da: camicia bianca, abito, pettorina, grembiule, giacchetta, calze o gambali, scarpe e nastri/copricapi.
La camicia
Il capo che subì meno trasformazioni nel corso dei secoli fu la camicia. Di tela bianca o sbiancata, di fibre naturali, filata e tessuta (quando possibile) in casa era un capo sia festivo che feriale (la differenza risiedeva nel tessuto utilizzato e in alcuni dettagli, come i polsini o le maniche). In alcune zone dell’Alta Valsesia (come a Fobello), la camicia per i giorni di festa era ornata da merletto puncetto nello scollo, sullo sparato, sulle spalle e all’attaccatura di maniche e polsi, mentre in quella da lavoro, solo lo scollo era impreziosito.
Il vestito o busto
Ciò che subì trasformazioni, fu invece il vestito o busto, il quale assumeva differenti nomi anche in base al tessuto con il quale veniva confezionato. Formato da una sorta di scamiciato, il fondo della gonna aveva un bordo colorato che terminava all’altezza del polpaccio mentre la parte superiore si riduceva a due bretelle.
A tal proposito, riguardo il busto testimonianze ricordano:
[…] L’abito era formato da una sottana ampia e confezionata dall’unione di più teli, che determinavano sul retro una serie fittissima di pieghe. Era la presenza di queste piegoline fitte a determinare il modo di conservazione della vesta: le pieghe erano cucite una con l’altra e così l’abito veniva riposto. […]
Grembiule o faudà
Altro elemento vestimentario, che a Fobello incontrò la sua piena ricchezza, fu il grembiule tenuto rialzato e allacciato all’altezza del petto. Al centro del faudà, si colloca la lavorazione a puncetto: sul fondo rosso per le giovani e il matrimonio, su fondo blu per le anziane, blu e viola per il mezzo lutto, nero per il lutto. Attorno ad esso, all’altezza seno, era presente il ligam.
Ligam
Il ligam consisteva in un nastro multicolore di seta acquistato o confezionato in casa intrecciando su un telaietto apposito i fili di vari colori.
La pezza o pitrà
A decorare il grembiule, indossata per matrimoni e battesimi la pitrà, una pettorina ricamata sulla quale lustrini, coralli o perline prendevano posto.
Giacca
Altro elemento a completamento del costume tradizionale di Fobello era la giacca. Indossata sotto o sopra il vestito, per le giovani e nubili e per i matrimoni era di panno rosso orlata con nastro verde e passamaneria d’oro, mentre il colore diventava nero per le donne sposate o anziane. La parte finale della giacca era finemente decorata; da quest’ultima si poteva intravedere il pizzo puncetto della camicia.
Accessori
Il momento dell’acconciatura rivestita un ruolo importante, oltre ad essere un’occasione di dialogo. Accanto ad alte trecce sulla testa, si potevano trovare a Fobello, nastri azzurri e verdi, chiamati lascioj.
Per quanto riguarda le calze, durante il periodo estivo si ricordano i calzettoni neri senza piede, chiamati strusciai che coprivano la parte inferiore della gamba. Essi permettevano d’estate, durante il lavoro nei campi, la difesa verso insetti, morsi di vipere o graffi dei rovi.
Un post a parte invece andrebbe riservato per le calzature. La donna non solo era addetta al puncetto e alla confezione, ma si curava anche delle scarpe. In un contesto alpino si aveva la necessità di possedere una calzatura calda, resistente, comoda e impermeabile. Chi non poteva permettersi uno scarpone alpino, si confezionava gli scapin o scufuign o scaffui, simili a delle pantofole. Contraddistinti da suola in canapa di circa un cm. (o panno o feltro trapuntato con fili di canapa), gli scaffui erano utilizzati quotidianamente dalle donne; nei giorni di festa gli scapin invece erano ornati con fiocchi, orli di velluto e addirittura fibbie argentate.
Precisamente nella Valle Mastallone, gli scaffui per battesimi o matrimoni avevano una base nera a tinta unita con bordi rossi e laccetti verdi.
La tradizione del battesimo fobellino
Il pizzo puncetto valsesiano a Fobello è stato celebrato con la seconda edizione del Puncetto day, ma ad essere reso importante è stato anche il battesimo fobellino. Nel paese valsesiano la tradizione del battesimo è antica e coinvolge tutta la comunità, la quale dimostra con gioia e partecipazione di accogliere il nuovo membro.
La madrina con l’abito per l’occasione porta in testa la culla in legno intarsiata con all’interno il bambino coperto da un panno rosso, sul quale sono ricamate scritte con filo dorato. Dietro la culla i volti sono felici nell’accompagnare la nuova piccola vita nel suo cammino.
Una scena fortemente bucolica e folkloristica, alla quale probabilmente si associano solo ricordi lontani di un tempo, che di tanto in tanto riaffiorano grazie a fotografie scolorite o libri di storia locale. Da questo momento in poi però, come i protagonisti di un libro che prendono vita, anche i “forestieri” della vallata potranno conoscere questa realtà. E se è vero che le origini delle tradizioni di Fobello sono antiche e misteriose, risulta essere ancora più enigmatico il ritrovamento del pezzetto mancante, protagonista della seconda edizione del Puncetto Day: il dipinto La Nascita di Enrico Crespi.
Il dipinto La Nascita di Enrico Crespi
Dopo una scoperta attenta e un viaggio rocambolesco, sostenuto dalla Fondazione Valsesia Onlus, dalla Pro Loco e dalla sensibilità dei donatori l’opera ha fatto ritorno nel suo paese natale, pronta a illuminare e rendere più vividi i ricordi.
Come trama e ordito che s’intrecciano, la storia di Enrico Crespi riporta la nostra attenzione alla città di Busto Arsizio (sede del Museo del Tessile). Nato in una famiglia borghese (il padre era imprenditore cotoniero), la madre discendente da una famiglia di marchesi, l’artista crebbe in un clima stimolante.
Nel 1874 il giovane Crespi si stanziò a Milano per frequentare l’Accademia di Brera, indirizzo pittura, sotto la guida di Francesco Hayez.
Fu qui e nel corso degli anni che l’artista sviluppò una pittura aggraziata dipingendo quadri storici, d’interni e scene di vita quotidiana. Non si sa esattamente come mai Enrico Crespi si spinse sù in valle per rappresentare la scena del battesimo, quel che è certo è che dietro i volti dipinti si cela una storia reale, impressa con tocchi morbidi nel tempo.
Posizionato al piano superiore del palazzo delle scuole, La Nascita possiede tutte le caratteristiche per affascinare e immergere il pittore nella realtà della vallata. Enrico Crespi ha saputo donare una vicenda esistita, con testimonianze visibili tutt’oggi con culle, abiti, gesti. La scena dallo schema diagonale introduce il visitatore in un girotondo della vita; le espressioni e i volti esprimono emozioni palpabili mentre gli abiti sono testimoni di uno stile di vita passato che grazie ad eventi come il Puncetto Day si sta cercando di riconquistare.
Il pizzo puncetto valsesiano a Fobello – Seconda Edizione
Domenica 25 giungo (giorno dell’International Lace Day) il paese di Fobello si è addobbato a festa. Settimane di preparativi hanno permesso di vivere una giornata tra le tradizioni valsesiane. Street food, prodotti tipici (biscotti artigianali alle farine biologiche e formaggi), esposizioni d’automobili d’epoca (Lancia ovviamente!) e artiste del puncetto hanno animato le vie di Fobello.
E’ una giornata calda, una leggera brezza segue il suo corso dalle Alpi giù per la vallata e tutto è animato. Le bandiere “Valsesia Lancia Story” posizionate nei pressi delle auto sembrano muoversi a ritmo della musica proveniente dall’osteria in piazza e miacce alla toma e alla marmellata sono abbondantemente farcite, pronte a insaporire e ad addolcire i palati dei fobellini e dei turisti giunti per ammirare il puncetto.
All’ingresso del paese sorridenti ragazze e signore della Pro Loco Fobello indicano il percorso espositivo previsto, senza tralasciare aneddoti e curiosità, mentre sotto i colorati gazebi le puncettaie sono chine concentrate a dimostrare ai passanti la loro bravura e passione per la preziosa trina.
Il percorso espositivo prosegue salendo i gradini verso la sala consiliare: qui ci si trova immersi in un’ambientazione signorile. Tende, tovaglioli, tovaglie e centrini irradiano la loro luminosità, la loro bellezza e la loro precisione a tutta la stanza. Le parole della SOMS (Società Operaia Mutuo Soccorso) riecheggiano nella stanza e tutto prende un valore incommensurabile.
Una lieve salita conduce all’edificio delle ex scuole, oggi sede del Museo del Puncetto e del Museo Vincenzo Lancia.
Una vista panoramica si mostra alla vista dei visitatori: casupole colorate dai tetti in pietra e una torre campanaria dal tetto aguzzo. Sullo sfondo la verde e rigogliosa montagna.
Le porte aperte del Museo invitano il visitatore a entrare. Al piano terra l’abito tradizionale di Fobello è messo in mostra in tutte le sue particolarità e varianti: dal costume da sposa, a quello da lutto, a quello da madrina; la sala è un’esplosione di pizzi e colori.
Il puncetto è anche il filo conduttore dell’ultimo piano. Entrando si viene rapiti dai colori e dalla luminosità dell’opera La Nascita di Enrico Crespi. Tutti ne rimangano ammaliati e le espressioni di stupore si percepiscono dalle salette adiacenti. Qui prendono posto grandi armadi, dai quali è possibile scorgere scaffui, busti, camicie e giacche dell’abito tradizionale maschile. Camicie da notte, mutandoni in canapa e calzette di lana sono invece adagiati su di un piccolo letto, accanto al quale due comodini con rosari e statuette ricordano la forte religiosità che caratterizzava le popolazioni contadine di un tempo.
Nella sala le didascalie sono poche, ma a rendere più vivi gli abiti e i pizzi sono gentili signore con ricordi e aneddoti della loro fanciullezza, le quali sembrano riversare nei visitatori la speranza futura nella salvaguardia di loro stesse, della loro famiglia e più in generale del patrimonio valsesiano.
Il futuro del pizzo puncetto e del costume valsesiano
[…] “Con il costume mi sentivo troppo legata nel fare i lavori, gli abiti moderni sono molto più comodi”” […]
oppure
[…] “un ruvido tessuto di lana”. […]
Queste sono solo alcune delle testimonianze che ho avuto modo di leggere su manuali e libri sul puncetto e sul costume tradizionale durante la mia ricerca. Sono parole provenienti direttamente dalla seconda metà dell’Ottocento o ancora da quando le mutande, le calze velate e le scarpe arrivarono tra i villaggi della Valsesia.
Con l’arrivo dell’abbigliamento contemporaneo i costumi vissero un esponenziale abbandono. Ripiegati e chiusi in armadi di legno, gli abiti si svuotarono della loro personalità, del loro valore, della loro vivacità e in definitiva della loro vita, in attesa di essere indossati in chissà quale evento.
Sull’effetto di un vero e proprio sgocciolamento dall’alto ad abbandonare il costume per favorire abiti di moda con differenti fogge furono le donne benestanti; via via come una macchia d’olio l’abbandono si espanse anche tra le classi inferiori.
L’allontanamento dal costume tradizionale rappresentò una valenza positiva/negativa. Positiva perchè il ritiro degli abiti negli armadi o nei cassetti permise un’ottimale conservazione; negativa perchè svuotò l’abito del suo valore manuale e artigianale, privilegiando invece un prodotto proveniente dalle nascenti industrie. Parallelamente all’abbandono dell’abito anche l’uomo sembrò disperdere le sue capacità creative e di pensiero, aprendo la porta ad una massiccia produzione industriale.
Si è dovuto attendere il secondo decennio del XXI secolo per riuscire a cambiare scenario e riprendere impolverati i costumi tradizionali, con i loro puncetti ancora perfetti. Tutto ora dovrebbe riacquisire un senso in un’epoca nella quale l’abbigliamento è ibrido, fluido e nella quale l’importanza per il passato sta raffiorando.
Del ruvido tessuto di lana bisognerebbe apprezzarne la sua compostezza, la sua purezza. Il costume di Fobello (e valsesiano in generale) andrebbe invece scomposto: il ligam da una parte, la camicia dall’altra, il grembiule da un’altra parte ancora. Solo così, nell’epoca contemporanea, l’abito valsesiano con il suo merletto può essere nuovamente vivo, solo così indossandolo si può ricordare il passato e scrivere un nuovo futuro.
Ringrazio la Pro Loco Fobello per la disponibilità e l’ospitalità e per avermi dato l’opportunità di raccontare la giornata del puncetto sul Corriere Valsesiano.
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A presto.
Valentina
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