Avete presente quando le fiabe raccontano di boschi incantati, casupole dai tetti rossi e infiniti laghi ghiacciati? O di streghe dispettose e giganti buoni? Questi luoghi e questi immaginari possono racchiudere la mia esperienza con il Trenino rosso del Bernina, da Tirano a Saint Moritz, con tappa al Museo Poschiavino, una Casa-Museo ricca di aneddoti, testimonianze e folklore del Canton Grigioni.
Immersa nella Val Poschiavo la cittadina svizzera, contraddistinta da edifici signorili, consente di captare le tradizioni della popolazione di quest’area, trasportando il visitatore in un vero e proprio viaggio nel tempo.
I profumi, il verde saturo dell’erba appena tagliata, le mucche al pascolo e i caminetti accessi, che è possibile ammirare dai finestrini del Trenino Rosso, accentuano la sensazione magica e incantata di questi territori, quasi come se si venisse catapultati in un dipinto di Segantini o in una pellicola delle innumerevoli versioni di Heidi.
Durante il mio percorso in una giornata di fine estate, con il Trenino del Bernina ho deciso di fermarmi ad ammirare solamente alcune fermate, prediligendo luoghi naturalistici e culturali.
Spero che queste indicazioni possano essere d’aiuto per tutti voi, soprattutto per chi come me, è appassionato di artigianato, folklore, tradizioni e per chi pensa che questi posti conservino ancora un’aura fiabesca.
“Tutti a bordo, si parte!” (con carta d’identità alla mano!)
- Il Trenino rosso del Bernina: da Tirano a Saint Moritz in breve;
- Tirano, capolinea italiano del Trenino rosso;
- Curt di Clement: soggiorno eco a Tirano;
- Le tappe del Trenino rosso;
- Saint Moritz, capolinea svizzero del Trenino rosso;
- Poschiavo: il borgo fiabesco lungo la tratta del Trenino rosso del Bernina;
- Al Museo Poschiavino con il Trenino Rosso del Bernina: costumi e tradizioni della Valposchiavo;
- Tirano, capolinea italiano del Trenino rosso;
Il Trenino rosso del Bernina: da Tirano a Saint Moritz in breve
Conosciuta come la tratta ferroviaria più alta delle Alpi, essa è una spettacolare crocevia in cui cultura e natura si fondono per dare vita a uno dei viaggi più affascinanti tra l’Engadina e la Valposchiavo, dall’ Italia alla Svizzera.
Nel 1912, grazie alle opere ingegneristiche presenti su tutto il percorso, la linea vide il riconoscimento di menzioni a livello mondiale, fino ad aggiungersi, nel 2008 alla lista dei siti Patrimonio Mondiale dell’Umanità (UNESCO).
Ma non solo opere all’avanguardia e paesaggi infiniti: dal 1910 la linea retica (RhB) ebbe sempre più importanza; in breve tempo permise la crescita occupazionale tra Italia e Svizzera, facilitò il trasporto di merci tra le due nazioni e incrementò il turismo dei ceti più abbienti.
Attualmente in circa due ore (con molteplici fermate intermedie), per una tratta di 61 km, il Bernina Express consente di ammirare paesaggi da togliere il fiato. Per tutto il tragitto continuerete ad abbassare e alzare i finestrini (solo nelle carrozze non panoramiche) e ad esclamare parole di piena meraviglia e stupore. Ohhh!
Dalla cittadina vitivinicola valtellinese di Tirano, posta a 429 metri s.l.m, attraverso il viadotto circolare di Brusio, immerso nella Valposchiavo, in un percorso tortuoso e curvilineo, dove a prevalere è un forte profumo di resina e di legname, passando da Cavaglia (conosciuta per le Marmitte dei Giganti), Alp Grum, si sale all’Ospizio Bernina ad una quota di oltre 2200 metri. Qui l’uomo e la natura diventano un connubio perfetto. La sensazione di libertà che si percepisce è sublime. Il trenino prosegue la corsa verso le fermate di Bernina Diavolezza e Bernina Lagalb, per poi scendere verso la località di Saint Moritz a 1800 metri s.l.m.
Tirano, capolinea italiano del Trenino rosso
Collocata al confine con la Svizzera (solo 2 km) e capolinea del Trenino del Bernina, la cittadina di Tirano è stata ed è un crocevia di culture. Attorniata da catene montuose e punto nevralgico per raggiungere i territori italiani ed europei, vide diverse popolazioni stanziarsi nel corso dei secoli.
La data del 29 Settembre 1504 risuona però nel cuore dei cittadini di Tirano. Più di 500 anni fa, la miracolosa apparizione della Beata Vergine sconvolse la vita degli abitanti della zona.
Nel luogo della comparsa (originariamente un orto), sorge ora uno scrigno prezioso, testimone di gioia, dolori e speranze.
Progettata tra il 1504 e il 1513 da Tommaso Rodari (architetto che lavorò alla fabbrica del Duomo di Como) e dal fratello Giacomo Rodari, il quale si occupò delle decorazioni, il Santuario della Madonna di Tirano è da considerarsi come il monumento più importante della Valtellina dal punto di vista religioso e culturale.
Stucchi, altorilievi, sculture e dipinti occupano ogni angolo della volta. Le figure fluttuano in questo spazio magico; dal loro viso trapelano espressioni, i loro corpi aggrovigliati dal forte dinamismo e plasticità comunicano allo spettatore, dalle loro bocche escono parole, suoni, canti, inni.
Così fitte, ma anche così generose, le decorazioni lasciano spazio ad uno degli organi più monumentali d’Europa. Realizzata tra il 1608 e il 1617, dall’ intagliatore Giuseppe Bulgarini, in legname locale, l’opera mostra una duplice personalità: se da una parte gli intarsi e il materiale utilizzato la rendono così fastosa, dall’altra, la sua posizione su otto colonne di marmo rosso la fanno sembrare sospesa e leggiadra.
Di fronte alla facciata della chiesa è presente il Museo Etnografico, al momento della mia visita (purtroppo) chiuso per lavori. In esso è possibile visionare documenti della vita e della cultura del mondo contadino montano Valtellinese.
Ma non solo luoghi di culto; per le vie di Tirano, oltre a piccole botteghe è possibile ammirare palazzi nobiliari ben tenuti, come il Palazzo Merizzi o il Palazzo Salis. Quest’ultimo, del XVII secolo, rimasto sempre di proprietà dei Conti S. Salis, nobile famiglia di origine svizzera, è una delle dimore private più importanti della Valtellina.
Curt di Clement: soggiorno eco a Tirano
Nella zona antica di Tirano, tra possenti mura quattrocentesche e tra importanti porte volute da Ludovico il Moro (Bormina, Poschiavina e Milanese), caratterizzata da fiori variopinti ai davanzali e lavatoi, si erge l’eco mobility hotel Curt di Clement. Dal profumo di pulito, di miele e di legna appena tagliata, l’eco bed and breakfast accoglie il visitatore in un clima accogliente, di design, ma tradizionale al tempo stesso. Con una ristrutturazione che unisce contemporaneo e antico in un binomio perfetto, Giancarlo (appartenente alla famiglia Merlizzi – Clement di Tirano), ha reso la vecchia dimora di famiglia un luogo di cultura e relax all’avanguardia. Ogni particolare (nelle sale comuni e nelle stanze) è meticolosamente progettato nel rispetto dell’ambiente: dalle volte originarie affrescate con motivi vegetali alle scelte ecologiche (plastic free, compostaggio, orto bio ecc.) che l’hotel adotta.
Il punto di forza che prevale, oltre alla struttura con ogni comfort, all’accoglienza e ai sorrisi del personale e all’arredamento di design o di recupero, risiede nel servizio della colazione. Tavole apparecchiate, luce naturale, camino e piccoli semplici dettagli rendono la sala da pranzo un luogo rilassato. Alla mattina ad attendere il visitatore, sono presenti prodotti locali a km zero, provenienti dalle eccellenze della filiera corta valtellinese: pane di grano saraceno, formaggi, uova, latte, miele, bresaola e molte altre specialità, servite per soddisfare ogni palato. Prodotti di qualità che consentono di assaporare tutta la bontà delle prelibatezze valtellinesi.
Un luogo perfetto, a pochi passi dalla stazione retica del Trenino rosso del Bernina, per partire alla volta di panorami memorabili.
Le tappe del Trenino rosso
Il mio viaggio con il Trenino Rosso del Bernina è partito dal capolinea di Tirano. Preciso, come un vero e proprio orologio svizzero, il treno ha iniziato la sua corsa (la terza della mattinata) alle nove in punto. Durante il viaggio di andata, per due ore circa di tragitto, non ho effettuato nessuna fermata intermedia per poter ammirare senza sosta (e rigorosamente con il finestrino abbassato) gli innumerevoli panorami.
Man mano che il treno prosegue, la temperatura scende e il paesaggio cambia. Dalla rigogliosa e verde vegetazione delle prime fermate, si passa all’infinita e candida distesa dei ghiacciai. I colori e la luce mutano, tanto da assomigliare sempre di più ai dipinti del pittore Giovanni Segantini. Egli proprio nella località di Pontresina morì nel 1899, lasciando una testimonianza immensa di questi territori alpini con la sua arte.
Saint Moritz, capolinea svizzero del Trenino rosso
Laghi profondi e leggendari, chiese deserte dalle vetrate policrome, rinomate pasticcerie e lussuosi hotel hanno caratterizzato la mia breve tappa a Saint Moritz.
San Maurizio, nonostante sia una delle cittadine più sfarzose della Svizzera (numerosi sono i negozi di famosi brand e i grandi hotel di lusso), conserva ancora una natura incontaminata. L’aria che si respira è internazionale, nobile, ovviamente d’élite, ma la natura che circonda la città è silenziosa e maestosa. Il lago e i boschi circostanti lasciano trapelare una sensazione mistica e misteriosa.
Cospicue sono le leggende che popolano questo territorio. Si narra di reperti di origine celtica, o di sorgenti termali miracolose. Notizie certe e testimonianze scritte della cittadina alpina risalgono al XII secolo, quando la zona venne dedicata a San Maurizio.
La svolta turistica si ebbe nella seconda metà dell’Ottocento, quando Johannes Badrutt, noto albergatore pioniere dell’Hotel Klum, in seguito ad una scommessa riuscì a far apprezzare il clima frizzante, la salubrità dell’aria, il caldo sole invernale e l’atmosfera romantica ad alcuni suoi ospiti inglesi.
Il mito della lussuosa e rinomata Saint Moritz iniziò dunque proprio così. Ecco che da inizio Novecento nelle sale dei più rinomati hotel si incontravano ricchi borghesi, personaggi del jet set, sportivi, scrittori ed artisti. Questi ultimi trovarono nella cittadina il luogo ideale per esprimere la loro arte o poesia. In breve tempo la città ottenne un notevole prestigio, tanto da essere protagonista per diversi anni dei Giochi Olimpici Invernali.
Saint Moritz annovera alcuni luoghi e musei noti in tutto il mondo.
Alle pendici del campanile della Chiesa Protestante di Saint Moritz, nel quartiere Darf, si presenta un edificio dipinto, sede della pasticceria Hanselmann. Fondata da due coniugi nel 1864, la rinomata patisserie ospitò personaggi di calibro internazionale. Le scatole decorate di cioccolatini invitavano ad entrare per gustare una deliziosa e calda cioccolata.
Oltre a locali storici, la zona del centro (Dorf) e le rive del lago Moritzersee, sono contraddistinte dal Museo Segantini, dal Berry Museum e dall’Engadiner Museum, ognuno con al suo interno opere d’arte di notevole valore. Estremamente intimo e suggestivo (che ho segnato per una prossima futura tappa a Saint Moritz) è la casa Museo Mili Weber. L’artista visse e lavorò nei pressi della città fino alla fine degli anni Settanta del Novecento. L’illustratrice interpretò con la tecnica dell’acquerello, il mondo alpino con creature dei boschi svizzeri e folletti dai visi tondi e dalle rotonde guance rosse, intenti a giocare o compiere gesti di benevolenza. Una sensibilità nei confronti della natura comune ad altre artiste, come Tasha Tudor e Beatrix Potter.
Poschiavo: il borgo fiabesco lungo la tratta del Trenino rosso del Bernina
Una delle tappe del Trenino Rosso del Bernina che merita un’approfondita esplorazione è Poschiavo, piccola perla non lontano dal confine italiano, appartenente ai “Borghi più belli della Svizzera“.
Punto di sosta e di snodo sin dai tempi antichi tra l’Italia e la Svizzera, Poschiavo è il centro di un binomio culturale ben radicato.
Dall’inizio dell’Ottocento il Canton Grigioni e la Valtellina si distaccarono definitivamente. Da quel momento la cittadina svizzera (in seguito anche alla separazione dal vicino comune di Brusio) sprofondò in un periodo duro che le permise comunque di manifestare tutto il suo splendore socio culturale, nonché le sue tradizioni così radicate, strettamente legate al territorio montano chiuso in cui si trova.
Con i fenomeni migratori del XIX secolo, il paese divenne famoso in tutto il mondo (Spagna, Francia, Russia ecc.), ma al tempo stesso si spopolò. I protagonisti di queste ondate erano piccoli borghesi o pasticceri che con le loro idee e fantasia riuscirono ad aprire attività all’estero. Il ritorno di questi ultimi diede un forte impulso economico a Poschiavo: sorsero numerosi palazzi nobiliari e la città si arricchì notevolmente.
Infine, con la costruzione della Ferrovia Retica e dunque con una maggiore apertura alle zone circostanti, la cittadina svizzera riuscì ad ottenere un massiccio incremento del turismo e degli introiti cittadini.
In una conca della Val Poschiavo, il paese si mostra ai visitatori con un’atmosfera sospesa, immobile, segreta.
Il borgo regala pittoresche vie che conducono alla scoperta dei principali monumenti: la piazza comunale con gli edifici neoclassici, le numerose chiese, la Tor costruita nel Duecento, Casa Console, sede di collezioni di dipinti romantici tedeschi e svizzeri, l’esuberante Palazzo Matossi Lendi, la Casa contadina Tomè ed il barocco Palazzo De Bassus – Mengotti, sede del Museo Poschiavino e della Tessitura Val Poschiavo.
Nonostante i fenomeni migratori, i contatti con le culture circostanti e la costruzione del trenino che attraversa il confine, Poschiavo rimane chiusa, silenziosa e le usanze protette nella sua vallata. I gesti e le tradizioni, quelle di un tempo, sono ben conservate e radicate a distanza di decenni.
Al Museo Poschiavino con il Trenino rosso del Bernina: costumi e tradizioni della Valposchiavo
Ho dedicato interamente la mia visita a Poschiavo alle vie del borgo e al Palazzo De Bassus – Mengotti.
Di notevole impatto architettonico, l’edificio De Bassus – Mengotti, fu costruito nel 1655 da Tommaso De Bassus (potente uomo politico) e solo in seguito venduto a Lorenzo Mengotti, appartenente ad un’altra prestigiosa famiglia poschiavina.
Più volta ampliata, la struttura ospita oggi le collezioni del museo etnografico della valle e i locali della Tessitura Valposchiavo, una delle ultime tessiture artigianali professionali in Svizzera, in cui la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale tessile sono gli elementi principali della loro mission dal 1955.
Da una piccola porticina si accede ad una sorta di scrigno delle tradizioni della vallata.
Al piano terra, ad accogliere i visitatori è presente una cappella di famiglia e nell’atrio, prima di accedere alla sala contadina sono presenti testimonianze della intensa attività di pasticceria all’estero che caratterizzò gli abitanti di Poschiavo. Stampi con le silhouette di ingenui coniglietti, ciambelle o dalle forme più svariate, recuperate da donazioni o antiche pasticcerie sono esposti in grandi vetrate. Dolci alle mandorle, budini e pan di spagna erano i dolci prediletti!
Una sezione con ampie volte, ben allestita (merito dell’architetto Fulvia Premoli) è invece dedicata alla vita contadina di un tempo, grazie al recupero di materiali durante tutti gli anni Sessanta. La mostra permanente, dal 2015, accompagna gli spettatori alla scoperta delle tradizioni alimentari e agricole della Valposchiavo. Al centro della sala è presente una sclenzuola, una slitta carica di covoni di fieno, utilizzata durante la fienagione e tutt’intorno oggetti, fotografie, filmati come testimonianza della civiltà contadina e boscaiola di un tempo.
Oltre alla raccolta e all’essiccazione del fieno, la mostra comprende sezioni (con oggetti e strumenti ben conservati), dedicate alla produzione dei salumi, del pane (primavera e autunno), del latte e del miele, tutti beni primari per la popolazione della valle, oltre alla realizzazione di ceste in vimini.
Lo studio delle luci dell’allestimento gioca un ruolo fondamentale per il visitatore.
I vasi in ceramica bianchi e blu, posti l’uno vicino all’altro avvolti da una poetica luce, rimandano al chiaroscuro di Caravaggio. Ma non solo, il colore intenso delle ceramiche, gli elementi esposti, la tridimensionalità e l’atmosfera domestica ricordano La Lattaia di Vermeer.
Tra gli oggetti presenti al museo anche le forme per il burro, attualmente ancora in uso nei paesi montani, in legno con motivi floreali intarsiati.
Attraverso una stretta scala in pietra si accede al primo piano.
Nelle sale del piano superiore sono presenti diverse esposizioni. La stanza adibita alla mostra sull’inquisizione delle streghe avvenuta nel XVII secolo e la sala dell’orso.
Al secondo piano un’ampia zona è dedicata all’artigianato, al tessile, alla lavorazione della lana e del lino, all’abbigliamento locale e d’importazione.
Una prima parte della sala vede l’esposizione degli attrezzi e degli strumenti per la lavorazione della lana, del lino e l’abbigliamento che veniva prodotto e confezionato localmente da abili artigiane e sarte. La mostra ripercorre con gli strumenti il processo lavorativo del lino: gli steli a fondovalle, una volta raggiunta l’altezza di circa un metro venivano sradicati e lasciati a terra al sole. Dopo il raccolto le fibre del lino venivano separate dalla parte legnosa e dalla corteccia. Il lino greggio ottenuto veniva poi pettinato e raccolto in code, utili per il successivo procedimento di filatura e tessitura.
Gli oggetti in mostra espongono anche i procedimenti della lavorazione della lana. Le pecore, brulicanti nella Valposchiavo, ogni anno, nei mesi invernali venivano tosate manualmente. Dopo essere stata lavata e cardata, si procedeva alla filatura della lana. Successivamente si passava alla tessitura tramite telaio, con il quale si realizzavano tessuti artigianali locali, come le famose coperte rosse e blu.
Con il lino e la lana veniva realizzata dalle donne della famiglia la dote (già incontrata in modo approfondito al Museo del Tessile di Busto Arsizio) e altri capi di abbigliamento. Nella cassapanca sono conservati tessuti, asciugamani, lenzuola e tovaglie di un corredo mai utilizzato (la proprietaria rimase zitella).
La tessitura nella Val Poschiavo è insita nella tradizione del luogo. Fino alla fine dell’Ottocento le attività tessili erano parti integranti della vita della comunità: scandivano le stagioni, i mesi, le settimane, i giorni e le ore. I periodi invernali, lunghi e nevosi permisero di approfondire la pratica. Dagli inizi del XX secolo, quando la valle cominciò ad aprirsi maggiormente alle influenze produttive del mondo circostante, la predominanza dell’attività tessile. In breve tempo i prodotti industriali sostituirono i manufatti tradizionali, soprattutto dagli anni Cinquanta, quando le popolate e fiorenti città divennero meta di manodopera poschiavina. Con loro si allontanarono dalla valle tutte le attività un tempo redditizie e i saperi tecnici che erano stati tramandati da generazione in generazione.
Sulla parete del lato opposto sono esposti vestiti locali e capi provenienti dai maggiori paesi europei, dove i poschiavini gestivano numerosi locali e caffè dalla fine del Settecento alla Prima Guerra mondiale. Essi riescono a raccontare la moda e il costume del territorio legata al resto del mondo.
Il contrasto tra la moda locale e quella europea è netto; se da una parte prevalgono tinte borghesi, raffinate dall’altro a ad essere in evidenza sono le gamme dei tessuti naturali.
Incastonata tra le montagne Poschiavo ha sempre avuto uno sguardo rivolto agli altri paesi confinanti.
Direttamente e probabilmente dalla Francia si ha la testimonianza di scarpette perfettamente conservate, color avorio di seta con dettagli e decorazioni floreali, molto simile alle fogge indossate sul finire del Settecento.
I pasticceri, caffettieri e gelatai, tramite il loro successo e i loro spostamenti, potevano permettersi vestiti e accessori cosmopoliti, dalle fogge urbane nettamente diversi rispetto alla moda locale. Nelle vetrine è possibile ammirare un elegante abito nero (una sorta di uniforme borghese), abiti da sera in seta ricamati con paillettes e una camiciola in cotone con una micro fantasia dal collo alto e dalle maniche arricciate che esaltava il punto vita per una cosiddetta “linea a s” provenienti dalla Spagna, facilmente associabili alla moda di fine Ottocento. Oltre a questi, anche pantaloni alla zuava color antracite in lana, diffusi fino agli anni Trenta del Novecento. Ma non solo; gli ombrellini, le morbide pochette, cuffie, cappellini sono tutti accessori di grande vezzo, simbolo di una classe che si stava arricchendo.
All’interno delle stesse vetrate si notano anche alcuni capi appartenenti a contadini o ceti inferiori, come nel caso dello scamiciato in lino. Interamente cucito a mano, tinto naturalmente erbe della valle, con abbottonatura centrale, più volte sistemata e rattoppata, con bottoni di diametro, forme, colori differenti, mostra esattamente l’importanza che la popolazione dava al riutilizzo di scampoli e la capacità di realizzare con le proprie mani oggetti e abiti di uso quotidiano. Interessanti sono gli sbiechi e i diversi tessuti utilizzati per il corpino, i quali danno vita ad una composizione patchwork.
Le tinte utilizzate, la forma dello scamiciato e l’utilizzo di tessuti con gamme cromatiche dei blu, degli ocra, dei beige richiamano alla mente i dipinti di Albert Anker, pittore svizzero vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Egli si dedicò a rappresentare la vita rurale e nobile dei villaggi svizzeri. Dai giochi, alla scuola, alle attività casalinghe delle donne, alle abitudini delle famiglie benestanti, la sua pittura è uno spaccato del costume e delle tradizioni del territorio.
Gli abiti esposti, gli accessori e gli oggetti proposti appartengono ad un archivio di oltre 12000 risorse, perfettamente conservate.
Per dare risalto alla raccolta qualitativamente e quantitativamente elevata, il Museo Poschiavino, grazie ad un team d’eccezione, diretto dallo storico e giornalista Daniele Papacella, ha presentato qualche anno fa la mostra “Moda e costume – Dal tessuto locale al vestire globale” (16 giugno – 28 ottobre 2018). Un percorso che come una narrazione ha accompagnato lo spettatore attraverso le tradizioni tessili, il vestire locale e le influenze europee.
Proseguendo nelle stanze del Palazzo De Bassus – Mengotti si accede alla camera da letto. Interamente rivestita in legno, con una stufa (stube) per riscaldare l’ambiente, con letti singoli, una piccola culla, un grande comò e accessori di vita quotidiana sembra di fare un salto nel passato. Ogni oggetto è conservato con grande cura, a testimonianza della vita nobiliare ed agiata che si conduceva nell’abitazione. Alle pareti dipinti, quadretti e fotografie antiche accrescono ulteriormente l’atmosfera.
Una piccola saletta oltre alla camera da letto è dedicata invece alle attività casalinghe di cucito e di ricamo con le quali le nobili donne spesso occupavano il loro tempo. Ma non solo, poteva essere una stanza per la domestica in servizio presso il palazzo per lavori di sartoria e di stiro. Macchina per cucire, accessori per ricamo, un tavolo di legno da taglio e un grande armadio in legno stracolmo di lenzuola, biancheria e pizzi occupano il ristretto spazio.
Accanto alla camera da letto e alla stanza del cucito, è presente un ampio salone. Completamente con muri e soffitti in legno intarsiati, l’ampio locale contiene al suo interno oggetti di vita quotidiana. Un servizio da thé su di un tavolino circolare, candelabri, orologi, culle e giochi per i più piccoli. Non mancano i quadretti con pizzi, probabilmente realizzati a mano, fotografie di famiglia e dipinti di personalità di spicco della nobiltà poschiavina, come si nota dai preziosi abiti in velluto e pelliccia.
In una piccola saletta tutti gli attrezzi per il ricamo a tombolo sono perfettamente conservati. In una giornata d’inverno, la donna che si cingeva a ricamare poteva udire in sottofondo gli ultimi pettegolezzi degli ospiti che si recavano nel salotto del palazzo.
La lavorazione del tombolo, nata molti secoli fa per realizzare merletti (trine) che ornavano e abbellivano colletti, orli, polsini è spesso possibile ammirarla in numerosi dipinti. Il pittore Vermeer nell’opera La Merlettaia dipinse una giovane donna intenta nel ricamo.
Al Museo sono esposti tutti gli strumenti da lavoro: il tombolo (duro cuscino ricoperto di tela) e i fuselli (stanghette di legno) attorno ai quali si avvolgono i fili e gli spilli. Per eseguire il ricamo si appoggia sul tombolo un cartoncino col disegno da riprodurre e si infilano gli spilli nel tombolo seguendo il disegno. Successivamente si intrecciano i fili attorno agli spilli. Alla fine del lavoro, si eliminano, si stacca il cartoncino e si libera la trina.
Proseguendo il percorso espositivo si accede ai locali della cucina. Dedicati quasi totalmente alla servitù, essi hanno mantenuto intatta l’atmosfera di calore. Gli attrezzi presenti, merito di una tradizione pasticciera antica, sono tra i più svariati: forme per budini o ciambelle in terracotta e in rame, casseruole, vassoi in argento, cucchiai in legno, forme per biscotti, teiere e piattini decorati. Tutto sembra essere lasciato come anni e anni fa. Sull’asse di legno (spesso utilizzata per stendere l’impasto) è posata un’antica bilancia. La farina sparsa sul tavolo lascia presagire la preparazione di una torta di mele o di biscotti speziati per l’avvento delle festività.
Di notevole rilevanza è la Galleria dei De Bassus. Una vera e propria raccolta degli antenati della famiglia De Bassus che la Baronessa Margarete De Bassus decise di donare al Museo in segno di riconoscenza. Tramite i dipinti è possibile ripercorrere le mode e i gusti della nobiltà poschiavina. Negli abiti dei ritratti si possono notare fogge di influenza francese, spagnola e tedesca.
All’ultimo piano dell’edificio, in un angolo del vasto solaio, tramite una stretta scala, si accede ad una vecchia aula scolastica.
I ceti nobili avevano a disposizione maestri ed insegnanti che a domicilio privatamente educavano ed istruivano i più piccoli, mentre le classi meno abbienti si recavano in edifici scolastici del paese, con classi miste, per lo più con ragazzi e bambini maschi. Il fenomeno dell’emigrazione fu una piaga per il sistema scolastico: molti giovani seguivano le famiglie per aiutare nella gestione di caffè; questi compiti non consentivano la partecipazione all’istruzione.
Al centro del percorso espositivo dell’ultima sala è inserita una possente lavagna in ardesia e tutt’intorno dei banchi speciali brevettati dal maestro poschiavino Adolfo Lanfranchi. Il modello esposto consentiva agli alunni di posizionare le lavagnette nella parte anteriore, avere a disposizione un portacalamaio, nonché un vano sotto il piano ribaltabile per adagiare lo zaino e un leggìo incorporato.
Oltre a ciò sui ripiani libri di favole, fiabe e sulle pareti cartine geografiche o poster con illustrazioni per bambini.
Una delle materie che destava particolarmente attenzioni era la formazione delle donne nel cucito, nel ricamo e nelle attività domestiche. Dal 1929 si creano delle vere e proprie classi di sartoria, dalle quali le ragazze potevano avere attestati di qualificazione.
In un piccolo armadio sono esposti progetti realizzati dalle alunne di Poschiavo perfettamente conservati.
Oltre al palazzo De Bassus – Mengotti, in una strada parallela è possibile visitare Casa Tomé. Esattamente l’opposto alla nobile dimore, la modesta abitazione è esempio di uno stile di vita contadino. Completamente in sasso, con fienile e stalla essa è stata abitata fino al 1990 dalle sorelle Tomé, forti sostenitrici di abitudini lente e genuine.
Dal 2007 in seguito ad un’accurata opera di restauro la casa appartiene ai Musei Poschiavini. Attualmente vengono organizzate visite ed eventi di cucina casalinga e tradizionale.
Il Trenino rosso del Bernina permette così di raggiungere territori e panorami eccezionali che con le diverse stagioni assumono colori e sfumature non descrivibili. Visitare Tirano, Poschiavo e le diverse tappe del percorso mi hanno permesso di entrare a contatto con la natura e con le diverse tradizioni territoriali.
Spero che questo post possa essere un aiuto per conoscere alcuni dei luoghi lungo la tratta del Trenino Rosso del Bernina, consigliandovi assolutamente di sostare per una visita alle bellezze del Museo Poschiavino e nelle vie del centro storico, lasciandovi trasportare da fiabe e leggende.
Ringrazio Daniele Papacella per essere stato disponibile e gentile a fornirmi ulteriori informazioni e soprattutto aneddoti sulla raccolta tessile del Museo Poschiavino.
Siete mai stati sul Trenino Rosso del Bernina? Cosa avete visitato?
Raccontatemi la vostra esperienza!
Valentina
All photos are mine unless stated otherwise. Please do not copy or use without permission.
Thank you