Come ogni anno mi ritrovo a scrivere di Next Vintage a Belgioioso (PV)!
Mancano ormai pochi giorni per il nuovo appuntamento dal 16 al 19 Ottobre 2020 e mi piacerebbe condividere qualche riga di riflessione. L’edizione di Aprile di Next Vintage purtroppo, data la situazione sanitaria molto precaria non si è tenuta; sono stati giorni molto vuoti e difficili da affrontare e certamente tutto ciò che ruota intorno agli abiti, agli accessori passava in secondo piano.
Anche se però, la moda nel corso dei secoli è stata paragonata ad uno specchio della società; tramite l’abbigliamento delle persone si poteva comprendere la situazione economica, sociale, sanitaria del paese di appartenenza, o in alcuni casi anche di circostanze al di fuori della propria nazione, come negli anni a cavallo tra la Prima Guerra Mondiale e la Seconda Guerra Mondiale, in cui la popolazione si trovò ad affrontare delle razioni sulla stoffa, sugli elastici e su altri accessori di merceria, utili per la confezione in casa di abiti per tutta la famiglia, oltre che sui beni di prima necessità. Di fronte a questa situazione le sartine, o anche i grandi designer (es. Salvatore Ferragamo) furono costretti ad adattarsi e sostituire questi accessori con oggetti provenienti da altri campi di utilizzo (come il filo da pesca). Accanto a ciò è da ricordare che l’abbigliamento femminile iniziava pian piano ad abbandonare decorazioni, ricami, volumi, protraendosi verso un’estrema pulizia e rigore, sia per i nuovi lavori che le donne si trovarono a svolgere, sia per l’influenza proveniente dalle funzionali uniformi maschili.
Mancavano i tessuti, e altre piccole cose assolutamente necessarie come gli spilli e gli aghi. Ne avevo portati con me tanti che avrei potuto travestirmi da puntaspilli. Ciò che più amavo di Parigi era il modo in cui si faceva ricorso alla fantasia per andare avanti. In quel momento di restrizioni, solo la fantasia poteva aiutare le persone a librarsi sopra la tristezza. La fantasia non è un fiore che nasce dalla passività. C’è bisogno di determinazione. […] Non erano solo i tessuti a scarseggiare, ma anche la manodopera, perchè gli uomini non erano tornati dai campi di prigionia e dalla deportazione, e le famiglie erano ancora smembrate. Nessun cappotto di lana poteva essere foderato in lana; non c’erano pellicce di nessun tipo; si dovevano usare meno di tre metri di stoffa per ciascun vestito; per una collezione si potevano realizzare al massimo sessanta modelli. (Schiaparelli E., Shocking Life. Autobiografia di un’artista della moda. Alet Edizioni, 2008, p. 213)
Da seicento che erano, i miei impiegati si ridussero a centocinquanta. Alcune midinette dovevano fare venti chilometri a piedi per venire al lavoro. In tre settimane preparammo una collezione, sperando di avere qualche riscontro. Era la collezione “paga e porta via”, con abiti pieni di grandi tasche, così che una donna costretta a uscire di casa in fretta o andare al lavoro senza borsa potesse portarsi appresso tutto il necessario. In questo modo, si conservavano le mani libere e nel contempo si manteneva un aspetto femminile. […] C’erano la linea Maginot, blu, la linea Legione straniera rossa, quella Aeroplano, grigia, e una tuta di lana che si infilava in un attimo, da tenere sulla sedia di fianco al letto, pronta ad essere indossata nel caso bisognasse scendere in cantina a causa di un raid aereo. C’era anche una linea in bianco, che avrebbe dovuto resistere ai gas velenosi. (Schiaparelli E., Shocking Life. Autobiografia di un’artista della moda. Alet Edizioni, 2008, p. 143)
Il terrore e la precarietà della guerra nonostante tutto portarono a dei cambiamenti epocali nella società, tra cui l’emancipazione femminile e l’interesse per i lavori femminili.
Nella storiografia sociale, nella storiografia del costume e nella gender history, la prima guerra mondiale è tradizionalmente ricordata come una straordinaria opportunità di emancipazione femminile. Con la guerra si presentò alle donne per la prima volta l’occasione di sostituire gli uomini soldati nelle attività agricole e nelle fabbriche. Molte trovarono posto negli impieghi pubblici come bigliettaie, tramviere, facchine, spazzine e portalettere. L’abbigliamento femminile si adeguò tempestivamente al nuovo ruolo attribuito alla donna, che con il proprio lavoro assolveva il patriottico compito di nutrire, vestire e armare i figli, i mariti, i fratelli, sbarazzandosi delle imbottiture sul busto e sotto la gonna. Due signore si fecero interpreti dei nuovi ritmi del tempo e del movimento espressione delle istanze futuriste presentandosi della centralissima Galleria di Milano vestite in pantaloni. […] La guerra effettivamente offrì un numero maggiore di opportunità lavorative alle donne, ma soprattutto diede ai lavori agricoli, domestici e a domicilio tradizionalmente femminili una visibilità di cui mai prima d’allora essi avevano goduto. (Merlo E., Moda italiana. Storia di un’industria dall’Ottocento a oggi., Marsilio Editore, 2003)
La situazione vissuta nel periodo dei conflitti mondiali può essere paragonata sotto alcuni aspetti alla precarietà che tutto il mondo sta vivendo in questo momento. Nell’autobiografia dell’artista Elsa Schiaparelli (Shocking Life. Autobiografia di un’artista della moda.) alcune frasi mi hanno fatto riflettere e mi hanno dato la speranza per affrontare il presente e sperare in giorni più luminosi, aggrappandosi alle attività che ci fanno stare bene con determinazione e affidarci totalmente alla fantasia.
Pertanto ero in linea con la me stessa del 1940. […] La prima reazione davanti ai giganteschi turbanti in cui si sarebbero potuti nascondere tre amanti, ai cappelli che sembravano nidi di cicogna e alle spalle larghe come strade fu quella di gettare via le imbottiture ed eliminare ciò che era voluminoso. Bisognava dimenticare tutto questo e creare una linea nuova, con spalle pressochè spioventi, vestiti lunghi, petti alti. Ripensando alla grande eleganza e alla grande dignità del passato, mi rivolsi allo stile impero: le novità non sono mai veramente tali. Si pensi a Jules Verne e a come, con la sua immaginazione profetica avesse anticipato le invenzioni moderne! Mi ispirai ai colletti alti, agli scialli voluminosi, alle vite sottili. Si trattava di uno stile un po’ esclusivo, ero io la prima ad ammetterlo. Per salvarci dovevamo puntare alla semplicità. Istintivamente, una volta tanto cercai di essere pratica, anche se la gente era stanca dei problemi quotidiani e dominava una certa grossolanità. Io ero ancora una sognatrice e continuavo ad immaginare le donne con abiti pratici, ma distinti ed eleganti, e pensavo all’antica saggezza dei cinesi e alla semplicità dei loro vestiti. (Schiaparelli E., Shocking Life. Autobiografia di un’artista della moda. Alet Edizioni, 2008)
Leggendo queste testimonianze non posso che intravedere uno spiraglio di luce e di speranza. Per alcuni aspetti le situazioni del passato e quelle del presente hanno degli elementi in comune. Fin dall’antichità l’uomo per coprirsi e successivamente per vestirsi ha dovuto fare i conti con il contesto in cui viveva e con la disponibilità di materie prime e di accessori per confezionare i capi. Un esempio è dato dall’origine del patchwork, cioè l’assemblare scampoli di tessuto rimanenti per dare vita ad un nuovo capo o addirittura a coperte, oppure tutto il fenomeno del “Make do and mend” (ripara e riutilizza) che prese piede nel periodo bellico. Conoscere il passato è fondamentale per poter affrontare il presente con lucidità e con senso critico.
La consapevolezza del passato è lo strumento per affrontare il futuro con sicurezza. Bisogna riscoprire il saper fare, tirar fuori lo spirito di adattamento e riconoscere la situazione che stiamo affrontando per creare un’estetica migliore e un pensiero più evoluto eticamente.
Partecipare a mercati e fiere vintage, entrare in negozi vintage, acquistare vintage è un gesto che dovrebbe far parte della routine della nostra quotidianità. Per conoscere più da vicino quello che in passato veniva fabbricato, come veniva prodotto e in particolar modo con che materie prime veniva realizzato, per poter attuare un confronto con ciò che il mercato ci propone ora ed esserne maggiormente consapevoli. Il vintage consente inoltre di personalizzare sempre di più quella che è la nostra identità e il nostro stile, giocare con capi unici e di qualità, che nel tempo hanno portato avanti piccole storie produttive e di persone.
Per me il vintage significa toccare con mano la storia della moda di anni passati, farle assumere un nuovo significato contemporaneo ed estremamente personale. Il vintage per me è ispirazione, ricerca; i bottoni, i ricami, le impunture possono essere per me degli input creativi dai quali sviluppare una piccola collezione o semplicemente lo stimolo per cucire un capo su misura per me stessa. Del vintage mi affascina scoprire le rifiniture interne, leggere le etichette della composizione e andare alla ricerca di capi che mi piacciono e quindi più affini alla mia personalità.
Per trovare un senso in questi giorni non resta che circondarci di bellezza, di immaginari e di mondi lontani e questo possiamo farlo anche tramite il vintage, soprattutto con Next Vintage! al Castello di Belgioioso.
Di seguito vi lascio alcuni scatti realizzati durante la scorsa edizione di Next Vintage (Ottobre 2019).
Parteciperete a Next Vintage 2020?
Fatemi sapere!
Trovate più informazioni sul sito del Castello di Belgioioso.
Valentina
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