Mostra MEMOS: la moda di questo millennio al Museo Poldi Pezzoli, Milano

Flair magazine Memos Museo Poldi Pezzoli

La mostra MEMOS. A proposito della moda in questo millennio al Museo Poldi Pezzoli di Milano può essere utile come strumento per un’analisi della moda del Novecento, ricca di significati nascosti e intrinsechi.

La mostra in origine doveva essere allestita nelle sale del museo dal 21/02/2020 al 4/05/2020, anche se in seguito ad una proroga, gli ingressi sono proseguiti fino al 28/09/2020. La mia intenzione iniziale era di andare nel mese di febbraio, ma anche i musei sono stati totalmente bloccati, così in un pomeriggio di fine agosto, approfittando della quiete della città ho visitato MEMOS.

Museo Poldi Pezzoli

Percorrendo la lunga via Manzoni, lasciando il teatro La Scala alle spalle e proseguono per circa 500 mt. a destra, si accede all’interno di un piccolo atrio all’aperto quadrato, tipico delle case milanesi, circondato da studi di arte/design e appartamenti; di fronte, al centro le vetrate d’ingresso.

L’istituzione Poldi Pezzoli può essere considerata una casa-museo, voluta dal nobile Gian Giacomo Pezzoli (1822/1897) ed ereditata dallo zio di Giuseppe Poldi Pezzoli, padre di Gian Giacomo. Egli cresce in un clima di agiatezza e a contatto, grazie alla madre Rosina Trivulzio, con il mondo letterario, culturale ed artistico milanese dei primi decenni dell’Ottocento. La passione del giovane Gian Giacomo per l’oggettistica, l’arredamento, dipinti, armi, vetri, ceramiche, fu però merito del nonno, importante collezionista. Ciò che Pezzoli fece, su esempio di altre case museo, fu quello di raccogliere gli oggetti più disparati da ogni parte del mondo nel palazzo che aveva ereditato, arricchendo la collezione mese per mese, anno per anno. L’uso di collezionare tappeti, tessuti, dipinti, oggetti d’artigianato, era molto in voga a metà Ottocento, in seguito anche all’interesse per tutti quei monili provenienti dal Giappone o da altre culture antiche o lontane, diverse da quella occidentale. La concezione della casa/museo era però già stata anticipata dalle “wunderkammer” (in italiano, stanze delle meraviglie), un termine tedesco che indica degli ambienti particolari nei quali venivano conservati oggetti straordinari ed inusuali. Questa usanza ebbe origini nel Medioevo, anche se la consuetudine tra i privati di avere oggetti particolari, che potessero destare curiosità ed attrazione, disposti in stanze addette, crebbe dopo l’Illuminismo. Tra gli oggetti in mostra libri, stampe, lettere, foglie essiccate, cammei, coralli, monete e reperti archeologici. La casa-museo Poldi Pezzoli fu una delle prime ad essere istituita in Italia e la sua particolarità è quella di avere ogni stanza in stile storicista, come ad esempio la Sala degli Stucchi in stile neorococò, oppure lo Studiolo Dantesco in stile gotico con grandi vetrate policrome; all’interno diverse epoche, dal Medioevo al Settecento, all’Età Moderna. Ogni stanza è occupata da vetri di Murano, dipinti, ceramiche, arredamento, orologi, gioielli, pietre, minerali, un vero e proprio scrigno con all’interno oltre 5000 oggetti.

Un contenitore di arte a tutto tondo.

Dall’inaugurazione avvenuta nel 1881, il museo divenne un punto di riferimento per i letterati, scienziati, studiosi di Milano e di tutta Italia. In una notte dell’agosto del 1943, con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale, alcune aree del museo caddero vittime dei bombardamenti, ma fortunatamente le opere erano state precedentemente poste al sicuro. Gli spazi espositivi vennero poi restaurati e nel 1951 riprese la sua attività propagandistica di cultura.

“Uno scrigno che si apre nei racconti delle Mille e una notte. Sono non meno d’un dieci o dodici camere tra grandi e piccole, alcune davvero stipate di oggetti preziosi, sia per l’arte pura come per le industrie artistiche. Vi si vedono i più splendidi esemplari della pittura lombarda, fiorentina e veneziana con l’impronta dell’autenticità in fronte. Così, un cumulo di oggetti di oreficeria, di ceramica, di vetreria, così mobili e arredi, così una grande sala ridondante di armature e di armi, tutto uno splendore di luci e di colori, che domanda sguardi ripetuti, eppur giammai abbastanza soddisfatti”. (Corriere della Sera, 26 aprile 1881)

Museo Poldi Pezzoli Milano

Ma ora, dopo questa doverosa presentazione al museo milanese, passiamo alla mostra MEMOS. A proposito della moda in questo millennio. curata da Maria Luisa Frisa e Judith Clark. L’esposizione pone una serie di riflessioni sulla moda contemporanea, servendosi come elemento di partenza di alcune parole chiave associabili alla moda delle Lezioni Americane, una serie di discorsi che Italo Calvino avrebbe dovuto tenere all’università di Harvard nel 1985 nell’ambito delle Charles Eliot Norton Poetry Lectures. Queste lezioni non vennero mai discusse con gli studenti dell’università americana a causa della morte dello scrittore italiano l’anno successivo, ma riuscirono sicuramente ad essere lette nel 1988, quando la moglie Esther Judith Singer le pubblicò con il titolo di Six Memos for the Next Millenium. In questi discorsi Italo Calvino si interroga sulla trasformazione e sul cambiamento, citando opere di diverse epoche storiche, ponendo stimoli per riflessioni future. Ogni capitolo ha come elemento principale i sei pilastri (leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, coerenza) che Calvino riteneva fondamentali per la comunicazione e per i processi creativi nel nuovo millennio.

“La lettura di Italo Calvino permette oggi di svolgere una riflessione che attraversa e sostiene tutta la mostra: la moda, nel suo essere industria culturale, volano economico, sistema di comunicazione, territorio ricco, ibrido e problematico, è pratica produttivamente poetica, quindi naturalmente letteraria. Memos sono anche gli appunti dattiloscritti da Diana Vreeland ai tempi della sua direzione di “Vogue America”, che, rivolti alla redazione, trattengono sinteticamente la sua rapidità visionaria, quali mood board fatti di parole.” (dalla mostra Memos. A proposito della moda in questo millennio)

Leggendo alcune righe delle Lezioni Americane e i diversi riferimenti ad esse collegate appare chiara anche l’assonanza con la casa-museo Poldi Pezzoli, così piena di oggetti e ricca di significati; è evidente anche la similitudine della varietà di contenuti proposti che un capo di moda può esprimere. Oltre a ciò alcuni versi sembrano perfettamente ricalcare il processo creativo, di nascita, di sviluppo e anche comunicativo che un oggetto d’arte può avere, soprattutto nella moda, la quale ha come punto di partenza un pensiero astratto che dopo vari stadi che ondeggiano tra ordine e disordine si concretizza diventando un oggetto fruibile.

All’origine d’ogni mio racconto c’era un’immagine visuale. Per esempio, una di queste immagini è stata un uomo tagliato in due metà che continuano a vivere indipendentemente; un altro esempio poteva essere il ragazzo che s’arrampica su un albero e poi passa da un albero all’altro senza più scendere in terra; un’altra ancora un’armatura vuota che si muove e parla come se ci fosse dentro qualcuno. Dunque nell’ideazione d’ un racconto la prima cosa che mi viene alla mente è un’immagine che per qualche ragione mi si presenta come carica di significato, anche se non saprei formulare questo significato in termini discorsivi o concettuali. Appena l’immagine è diventata abbastanza netta nella mia mente, mi metto a svilupparla in una storia, o meglio, sono le immagini stesse che sviluppano le loro potenzialità implicite, il racconto che esse portano dentro di sé. Attorno a ogni immagine ne nascono delle altre, si forma un campo di analogie, di simmetrie, di contrapposizioni. Nell’organizzazione di questo materiale che non è più solo visivo ma anche concettuale, interviene a questo punto anche una mia intenzione nell’ordinare e dare un senso allo sviluppo della storia – o piuttosto quello che io faccio è cercare di stabilire quali significati possono essere compatibili e quali no, col disegno generale che vorrei dare alla storia, sempre lasciando un certo margine di alternative possibili. Nello stesso tempo la scrittura, la resa verbale, assume sempre più importanza; direi che dal momento in cui comincio a mettere nero su bianco, è la parola scritta che conta: prima come ricerca d’un equivalente dell’immagine visiva, poi come sviluppo coerente dell’impostazione stilistica iniziale, e a poco a poco resta padrona del campo. Sarà la scrittura a guidare il racconto nella direzione in cui l’espressione verbale scorre più felicemente, e all’immaginazione visuale non resta che tenerle dietro”.

La mostra MEMOS nel 2020 ripercorre e cita l’esposizione del 1980, dal titolo 1922-1943 Vent’anni di moda italiana, curata da Grazietta Buttazzi con Alessandra Mottola Molfino. Questa mostra prendeva in considerazione il ventennio di base della moda italiana, caratterizzato da una forte produzione interna. La Francia possedeva ai tempi l’egemonia della moda, gli Stati Uniti si affacciavano sul mercato con i grandi magazzini nelle principali città, mentre l’Italia faceva ricerca sull’uso di nuovi materiali e forme. Secondo lo stilista/artista italiano Walter Albini, gli anni Venti e Trenta furono per lui un periodo di forte ispirazione, in cui tutto accadde e poteva accadere.

Museo Poldi Pezzoli Milano
Museo Poldi Pezzoli Milano
Memos
Memos, Poldi Pezzoli

Il Salone dell’Affresco, la Sala dei Pizzi e la Sala dei Tessuti

Il piano terra del palazzo ospita il percorso espositivo originario della mostra del 1980; la prima sala a cui si accede è il Salone dell’Affresco, con il grande Tappeto di Caccia persiano del XVI secolo e il modello in scala dell’allestimento del 1980; la Sala dei Pizzi, la quale presenta tutta una serie di cassettiere apribili (la zona purtroppo non si poteva visitare, per le norme anti-covid) e la Sala dei Tessuti, nella quale compaiono abiti della mostra 1922/1943 Vent’anni di moda italiana. Tra i capi esposti, un abito da sposa del 1920 in raso di seta e garza di seta con tralcio di fiori di arancio di cera appuntato su un fianco, con un elegante drappeggio, il collo a tulipano ed un lungo strascico. All’interno di una struttura in legno invece abiti realizzati negli anni Venti, Trenta e Quaranta principalmente in seta; tra questi anche un’uniforme da Ambasciatore del Regno d’Italia del 1939, in panno di lana nero con ricchi ricami in oro filato, cordoncini e lustrini. Anche se il mio preferito rimane l’abito da giorno in seta stampata a bolli bianchi su fondo azzurro scuro degli anni Quaranta.

Uscendo dal Salone dell’Affresco, proseguendo e lasciando la fontana neobarocca alle spalle, si accede alle sale ricche di tesori dove Gian Giacomo visse fino alla morte. La grande scalinata termina con una vetrata recante lo stemma della famiglia. Ancora una volta la casa, rivela un fil rouge con gli abiti esposti e la moda contemporanea, ricca di loghi, iniziali, stemmi o distintivi.

Museo Poldi Pezzoli Milano
Poldi Pezzoli

Le Salette dei Lombardi

A sinistra si accede a delle piccole sale, chiamate Salette dei Lombardi (era la biblioteca di Gian Giacomo Pezzoli), nelle quali sono esposte dipinti del Trecento e del Quattrocento lombardi. Essi fanno da contorno (anche grazie alla gamma cromatica) al completo maschile composto da un lungo poncho in maglia di lana fatta a mano, con ricami di piastrelle illustrate, sciarpe in maglia, cappello con ricamo e coperte e guanti in maglia, della capsule collection Fall Winter 2019/2020 del direttore creativo Jonathan Anderson per Loewe, maison di lusso spagnola. In questa collezione il designer sembra essersi ispirato a culture lontane, forse sudamericane, forse delle zone fredde, ma è evidente il richiamo alle piastrelle di William De Morgan, un ceramista inglese che visse a cavallo tra il 1800 e il 1900, nonchè amico di William Morris e designer per la Morris&Co. Jonathan Anderson sembra aver coniugato la ricerca, la scoperta, la ceramica e l’interesse per il fatto a mano e l’artigianato in una collezione di pochi capi, ma ricchissima di significati intrinsechi.

Museo Poldi Pezzoli Milano
Museo Poldi Pezzoli Milano

La Saletta degli Stucchi

Ritornando a dove si è entrati e proseguendo dritto, si accede alla Saletta degli Stucchi in stile rococò. L’ambiente ha delle vetrine enormi (alte quasi quattro metri) colme di porcellane, le quali però lasciano intravedere il Salone Dorato in stile rinascimentale, in cui sono esposte opere di artisti come il Pollaiolo, Mantegna, Antonello da Messina e altri pittori. La collezione delle porcellane voluta da Gian Giacomo Pezzoli, è composta da servizio di piatti, bicchieri, zuppiere, vasi, saliere del Settecento dipinte. Il richiamo con le porcellane giapponesi è evidente. Nel Salone Dorato è esposto l’abito di Dior della Haute Couture Fall Winter 2019/2020, composto da una tunica bianca in seta con sopra ricamata in jais nere una domanda provocatoria “Are clothes modern?”, riferito alla mostra Are Clothes Modern? curata da Bernard Rudofsky nel 1944 al MoMA di New York. Maria Grazia Chiuri vuole portare l’Alta Moda all’interno di una riflessione sui corpi e sull’idea di femminilità. Il suo manifesto è un abito bianco, semplice, un peplo, una ricerca nella femminilità delle origini, soprattutto delle figure femminili greche, rintracciabili in sculture con pepli morbidi che avvolgevano il corpo senza restrizioni. L’abito deve essere questo, procedere in simbiosi con il corpo e rispettarlo. Nella sala è presente anche un grande arazzo che copre l’intera parete a destra e a mimetizzarsi l’abito grigio perla di Armani Spring/Summer 1994, in lino e seta con applicazioni di perline. L’abito dal taglio austero, strutturato e dalle linee perfette svasate al fondo è arricchito da ricami floreali.

Museo Poldi Pezzoli Milano
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Illustrazioni
Dior
Museo Poldi Pezzoli Milano

La Sala Visconti Venosta

Proseguendo nella Sala Visconti Venosta si può incontrare l’abito “skeleton” di Gucci (con Alessandro Michele direttore creativo) della collezione Resort 2019 che ha sfilato sulla passerella di Arles. Il colore nero e il colletto bianco a contrasto richiamano immancabilmente l’abbigliamento da educanda di fine Ottocento, ma l’aspetto che cattura lo spettatore è il ricamo al centro del petto di una cassa toracica impreziosita da pietre variopinte e merletti. La gabbia/cassa toracica ha moltissimi riferimenti, prima di tutto il richiamo allo stile gotico e ad atmosfere cupe, i colori sembrano provenire dai dipinti di Jacques Louis David, può essere anche riconducibile ad alcune scene del film Mood Indigo, oppure a sua volta a fiabe germaniche. I riferimenti con la moda del passato sono associabili allo “Skeleton Dress” di Elsa Schiaparelli della collezione Spring Summer del 1938, realizzato in collaborazione con il surrealista Salvador Dalì. L’abito nero, in crepe di seta presenta nella parte centrale del petto un ricamo effettuato con la tecnica del trapuntato per portare il disegno delle ossa in rilievo. Le citazioni più attuali invece riguardano lo “Spine Corset” di Alexander McQueen in alluminio e pelle (qui un approfondimento), oppure alcune opere della collezione Couture Fall 2011 di Iris Van Herpen.

Gucci

La Sala delle Archeologie, la Galleria dei Ritratti e la Sala delle Porcellane

Si prosegue il percorso della mostra con delle nuove sale che sono state rese fruibili dal 2017, come la Sala delle Archeologie, la Galleria dei Ritratti e la Sala delle Porcellane. Nella prima sala sono esposti copricapi dalle più disparate fogge e accanto erano esposti degli elmi antichi. Il vestibolo della galleria che conduce alla sala Galleria ha in esposizione una pagina del quotidiano Il Piccolo della Sera di Trieste, del 23 giugno del 1920 con un interessantissimo articolo sull’abito universale a 35 lire, la TuTa progettata da THAYAHT con l’immagine del cartamodello in scala. L’abito diventa democratico, funzionale, confezionabile a casa, alla portata di tutti ed estremamente personalizzabile nei colori e nel tessuto. La Galleria o Sala dei Ritratti espone dipinti dell’artista bergamasco Vittore Ghislandi, i quali creano una perfetta unione cromatica e formale con gli abiti in esposizione di alcuni brand come Prada, Marni e Arthur Arbesser. L’ultima sala da questa parte della casa museo Poldi Pezzoli è chiamata Sala delle Porcellane, per la presenza di alcuni vasi da camino e due ritratti di Giacomo Ceruti. La presenza dell’abito di Sofia Kokosalaki, giovane stilista laureata alla Central Saint Martins a Londra, ma scomparsa prematuramente, crea un legame perfetto con gli oggetti della stanza. L’abito della Spring Summer 2005, bianco, di seta, tagliato in sbieco e drappeggiato rimanda immediatamente alle sculture classiche greche (la stilista infatti era di origini greche), attraversando secoli e secoli. Ovviamente è doveroso citare anche la stilista parigina Madeleine Vionnet, la quale influenzata dal clima di emancipazione (in quegli anni ci fu l’abolizione del corsetto nell’abbigliamento delle donne) e dai movimenti naturali e liberi dell’artista Isadora Duncan, come anche il suo forte interesse per l’antichità diede un forte impulso creativo alla moda, con l’introduzione di capi caratterizzati dall’innovazione del taglio sbieco (taglio del tessuto a 45°) che consentiva di ottenere un’estrema fluidità e favolosi drappeggi. Non si trovano solo tracce di Vionnet nell’abito esposto al Museo Poldi Pezzoli, è possibile intravedere anche influenze provenienti dalla stilista americana Elizabeth Hawes oppure dall’alta moda di Madame Grès, con i suoi abiti immacolati ed eterni, associabili al chitone dell’Auriga di Delfi. Tutti questi elementi pervadono la stanza; il bianco, il nero, la luce e l’ombra fanno da padrone, creando netti chiaroscuri rintracciabili in tutti gli oggetti della sala, compresi gli abiti indossati dai personaggi dei dipinti alle pareti.

Tuta
Museo Poldi Pezzoli Milano
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Museo Poldi Pezzoli Milano
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La Sala Nera

Ritornando verso il Salone Dorato e procedendo verso l’altra ala del museo, si raggiunge la Sala Nera (in origine il salotto dell’appartamento di Gian Giacomo Pezzoli), di chiara ispirazione del Rinascimento del Nord, con arredamenti, sculture, altorilievi e ritratti esposti. Continuando il percorso si approda alla Sala dei Vetri, in origine camera da letto del collezionista. Qui si può ammirare un’ampia collezioni di vetri di Murano dalle forme più disparate, ma anche ritratti di Gian Giacomo Poldi Pezzoli da bambino dell’artista Giuseppe Molteni, ritrattista di famiglia e restauratore.

Lo Studiolo Dantesco

Facendo pochi passi più avanti, lo sguardo viene immediatamente rapito dai colori intensi delle grandi vetrate policrome della stanza seguente: lo Studiolo Dantesco, il raccolto studio privato del collezionista. Ogni parte di questa magica stanza lascia trasparire un sentimento, è come se ci si trovasse in una realtà parallela, nel Medioevo o forse più precisamente tra le parole dei canti della Divina Commedia di Dante Alighieri, scrittore a cui la stanza è dedicata. In essa, in una vetrata sono racchiusi tutti gli oggetti più cari al collezionista, quelli più singolari e alcuni anche i più preziosi. Ma in un angolo, al centro della scena è esposta invece la gonna in seta a palloncino di Prada della collezione Spring Summer 2008, nata dalla collaborazione con l’artista taiwanese-americano James Jean. I suoi disegni e le stampe dei capi Prada catapultano lo spettatore in un giardino popolato da ninfee, in una fiaba con donne zoomorfe, dove i fiori riprendono la sinuosità delle opere Art Nouveau oppure cantano e parlano come ne Alice nel Paese delle Meraviglie. Dagli sketches dell’artista si è creato un’intera collezione Trembled Blossoms e un cortometraggio, dalle atmosfere paragonabili al video musicale Utopia dell’artista Bjork.

Museo Poldi Pezzoli Milano
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Fonte Youtube

La Sala del Settecento Veneto, la Sala del Perugino e la Saletta dei Trecenteschi

Altre sale a cui si accede seguendo il percorso della mostra sono la Sala del Settecento Veneto, la Sala del Perugino e la Saletta dei Trecenteschi. Nella prima sala, subito dopo la Sala degli Ori in cui si può osservare la raccolta di oreficeria del museo, sono esposti due abiti della maison Versace, della collezione Spring Summer 2018 (con Donatella Versace come direttore creativo) in maglia metallica e bande elastiche. Celebre è l’uscita finale della sfilata con le top model d’eccellenza degli anni Ottanta in poi, capitanate dalla direttrice creativa della casa di moda. Chiaro è il riferimento e l’omaggio che Donatella Versace ha voluto dare alle collezioni più famose del fratello Gianni Versace e alla femminilità delle modelle/muse che ha fatto esplodere in quegli anni. Nell’esposizione accanto riviste con i visi più iconici ma anche gli scatti del visionario Tim Walker all’eclettica Anna Piaggi, icona indiscussa e creatrice delle ipnotiche Doppie Pagine. Nella Sala del Perugino, al centro, sono esposte riviste vintage della testata Flair degli anni Cinquanta, le quali accompagnano in visitatore alla Saletta dei Trecenteschi, dove ad attenderlo ci sono due abiti, uno della maison Valentino della Spring Summer 2019, in pizzo, tulle e organza di seta ed un look di Prada Fall Winter 2008-2009 composto da una camicia azzurra in cotone con un abito in pizzo di seta nero, di chiara ispirazione 50s.

Museo Poldi Pezzoli Milano
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Flair
Riviste

La Sala del Collezionista

Successivamente si accede alla Sala del Collezionista, in cui sono esposti su una pedana abiti di Gianbattista Valli, Christian Dior, Gucci, Fendi e Maison Martin Margiela. Per un gruppo di abiti era chiaro il concetto che li univa: il Logo. Le iniziali, fanno parte del percorso espositivo della mostra e sono il primo elemento che troviamo sulla porta d’ingresso nel momento in cui saliamo il grande scalone. In questa occasione il logo era un mezzo per identificare l’appartenenza della casa museo alla famiglia Poldi Pezzoli e allo stesso modo i brand utilizzano il logo sulla superficie dei loro capi, stampato, ricamato o applicato. Tra questi la pelliccia della maison Fendi, con il logo FL che diventa FF inventato da Karl Lagerfeld che oltre all’iniziale della casa di moda, può anche significare “fun fur”. Anche Gucci fa un largo uso del logo tanto da far diventare la lettera G un elemento distintivo. Di particolare rilevanza invece è la giacca sagomata in lino grezzo della collezione Spring Summer 1997 di Maison Martin Margiela. Se tutti i manichini nella stanza sono vestiti con abiti, il manichino che ci si trova di fronte entrando nella stanza sembra spoglio, non vestito, come se qualcuno si fosse dimenticato di allestire. Sembra un manichino sartoriale, di alta moda, simili a quelli della Stockman. In realtà il concetto era quello di vestire il manichino del manichino stesso, di qualcosa che sembra non finito, ma che in realtà è finito. Nel look book della collezione si nota come in realtà questa giacca estremamente concettuale può essere abbinata a diversi capi (per lo più basici), diventando l’elemento centrale dello styling.

Lino grezzo, stampato. La purezza potrebbe essere qualcosa di indefinito. La purezza potrebbe essere un cartone preparatorio, prima che le intenzioni giungano, e esplicitino tutto, lo espongano. L’indefinitezza che tutti ci fece stupendi, e desiderabili, in fondo. Potrebbe essere Milady De Winter, de I Tre Moschettieri, prima che D’Artagnan le scopra il braccio e tutto si infranga. Potrebbe essere Odette de Crécy, prima che Swann accetti che ogni parola è, in fondo, una menzogna e che dunque pure le menzogne si possono amare. Un abito, semicouture, appena prima e appena dopo, un po’ di più e un po’ di meno, di un vestito. (Chiara Valerio. MEMOS)

Museo Poldi Pezzoli Milano
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Nella sala esposti anche campionari di tessuti stampati, libri di taglio e cucito della Singer, un piccolo taccuino con gli appunti sulle indennità degli operai tessili, le riflessioni Memos di Diana Vreeland e la prima edizione del libro Six Memos For The Next Millenium.

Museo Poldi Pezzoli Milano
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La Sala delle Armi

La Sala delle Armi è l’ultima stanza che ho visitato. Progettato nel 2000 dall’artista Arnaldo Pomodoro, lo spazio è occupato totalmente da elmi, armi, corazze che fanno da contorno ad alcuni capi, tra cui l’abito maschile con cappotto e mantella di Balenciaga e il tailleur della maison Chanel. Il look proposto da Balenciaga (Demna Gvasalia direttore creativo) composto da un grande cappotto trapuntato e mantella porta a riflettere sul concetto di mascolinità. Egli ha deciso di stratificare le divise/ruoli che l’uomo assume nella società: divisa da lavoro, divisa sportiva o divisa politica. Una sorta di stratificazione a cui l’uomo contemporaneo deve essere pronto per sopravvivere e per avere un ruolo all’interno della comunità. Tutto è oversize, come se si volesse contenere al di sotto di una mantella o di un cappotto tutti questi ruoli e farli uscire all’evenienza. Il completo di Chanel, composto da giacca e gonna, della collezione Pre Fall 2010 (direttore creativo Karl Lagerfeld), realizzato in lana, paillettes e catene in metallo, riprende la ricerca stilistica che fu effettuata da Coco nel 1954. In questo capo le proporzioni fanno da padrone, tutto è misurato e perfetto. I bordi a contrasto seguono il perimetro del capo e la fodera interna in seta (molto spesso era dello stesso colore della blusa che si indossava sotto alla giacca). Realizzato totalmente in paillettes di metallo, quasi a creare un perfetto collegamento con le armature di sfondo. Nel 1954 il tailleur di Chanel, poteva essere interpretato come una sorta di corazza per la donna che doveva farsi strada nella società del dopoguerra e le paillettes di metallo sembrano proprio portare avanti questo concetto che rimane estremamente attuale.

Museo Poldi Pezzoli Milano
Museo Poldi Pezzoli Milano
Museo Poldi Pezzoli Milano

Anche se sono già cinque – sei anni che il new look ha fatto la sua comparsa, ripristinando quasi tutto quello che odiava della belle époque, Coco con riesce proprio ad abituarvisi, benchè gli eccessi iniziali siano venuti meno. E quando vede che si continua a stringere troppo in vita, a costringere all’interno di corsetti e di stecche di balena, in una parola, a martirizzare il corpo delle donne, non ce la fa più. Come possono le malcapitate chinarsi o salire in auto senza che le cuciture si strappino? E’ proprio assurdo! “Gli stilisti si sono dimenticati che ci sono delle donne dentro i vestiti!” […] Inoltre Gabrielle deplora l’egemonia degli uomini nel settore. Prima della guerra, erano soprattutto le donne a dominare il mondo della moda: lei stessa, Madeleine Vionnet, Elsa Schiaparelli, Madame Grès… Ora – sostiene Coco – sono gli uomini che si incaricano di dire alle donne come devono vestirsi. E le vestono male perchè le disprezzano, o quanto meno non le amano.

Se c’è un completo al quale la stilista ha saputo associare indissolubilmente il suo nome agli occhi del mondo intero, questo è certamente il famoso tailleur profilato, che rinnova, amplificandolo ancora il successo del tubino nero del 1926. Non sarà stata Gabrielle a inventare il tailleur, ma di sicuro è lei che ne ha totalmente rinnovato la concezione. Pur essendo nato, alla fine dell’800, per soddisfare l’esigenza di libertà fisica della donna, la sua linea molto attillata, unita all’uso di tessuti piuttosto pesanti e di fodere relativamente rigide, rendeva ancora impacciati i movimenti. Gabrielle elimina le fodere in tela, utilizza sistematicamente tessuti sottili a maglie strutturate come il jersey, e li fa lavorare ai ferri. Arriva così a unire rigore e funzionalità a fluidità e leggerezza, il che corrisponde ai desideri e all’immagine della donna attiva. […] La gonna, la cui lunghezza è costante, larga o stretta che sia, permette sempre di camminare comodamente. La giacchina è in genere corta, poco sciancrata, ornata da tasche, chiusa bordo su bordo da bottoni dorati e rifinita con profili di passamaneria tono su tono. Chanel venderà questo capo a migliaia di clienti. Inoltre cederà i diritti di riproduzione ad alcuni grandi confezionisti americani, che ne realizzeranno a centinaia di migliaia, con prezzi variabili a seconda della qualità. E poi, ovviamente, questo tailleur sarà copiato tout court, senza alcuna autorizzazione, in modo più o meno felice.(Gidel H., Coco Chanel. La biografia, Lindau, 2017)

In conclusione posso dire che la mostra MEMOS. A proposito della moda in questo millennio sia stata per me spunto d’ispirazione e di riflessione. Credo che tra gli abiti esposti, gli oggetti e lo stesso Museo Poldi Pezzoli si sia creato un forte legame, con continui rimandi tra le diverse parti. I capi credo abbiano trovato il giusto contenitore e penso siano stati più o meno tutti valorizzati, alcuni di più e alcuni di meno. Ho apprezzato moltissimo al piano terra la piccola ricostruzione espositiva della mostra del 1980 e i documenti come le riviste, i manuali di cucito che in alcune sale accompagnavano la mostra. Altro elemento interessante erano le citazioni o in alcuni casi poesie, versi che suscitavano allo spettatore emozioni e storie visive.

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Voi siete riusciti a vedere la mostra? Come vi è sembrata? Spero di avervi fatto compagnia in questa visita virtuale con me!

Più informazioni e curiosità si possono trovare sul sito del Museo Poldi Pezzoli e sulla pagina Instagram.

Valentina

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