Quello che ho vissuto è stato un sogno. Un sogno meraviglioso ad occhi aperti.
Una mattina di maggio scesa dall’aereo da Milano Malpensa e atterrata a Londra Gatwick il mio unico pensiero era quello di entrare al Victoria&Albert Museum per la mostra Christian Dior: Designer of Dreams.
Con la metro sono arrivata fino alla stazione di South Kensington e dopo un piccolo tratto di strada a piedi attraversando Cromwell Road ho trovato davanti a me il Victoria&Albert Museum (uno dei musei più importanti al mondo per le numerosissime testimonianze sull’evoluzione della civiltà umana e sulla capacità dell’uomo di esprimere uno status o semplicemente un pensiero tramite manufatti, abiti, sculture e architetture). Il museo fu fondato nel 1852 dal Principe Alberto, il quale decise di utilizzare questo luogo non solo per esporre la sua collezione di opere, ma anche per riunire e raccogliere più oggetti possibili del passato, provenienti da culture europee e extraeuropee.
Con il biglietto della mostra Christian Dior: Designer of dreams alla mano, ho attraversato le porte scorrevoli e mi sono trovata in un ingresso spazioso, candido e luminoso, caratterizzato da colonne e arcate con una sorta di grande lampadario centrale. Alla reception con molta chiarezza e disponibilità mi hanno indicato dove fosse la Sainsbury Gallery, una zona espositiva recentemente progettata all’interno del museo.
Arrivata alla Sainsbury Gallery davanti a me una grande fotografia retroilluminata di Christian Dior, la quale accoglie gli ospiti e li conduce verso l’ingresso della mostra attraverso una scalinata.
Per poter capire il percorso che lo stilista ha compiuto e come mai è arrivato nel corso degli anni a delle scelte, bisogna sicuramente contestualizzare il periodo storico, gli eventi precedenti al 1947 (anno di lancio del New Look) e l’atmosfera che Monsieur Dior respirava in quegli anni.
All’inizio degli anni Quaranta, le tragedie della Seconda Guerra Mondiale si riversarono in tutti i campi. Ogni aspetto della vita quotidiana era compromesso; anche i vestiti e l’abbigliamento. Le materie prime (stoffe, bottoni, foderami ecc.) erano scarse, alcuni paesi, tra cui l’Italia, adottarono un regime autarchico di produzione dei beni, le industrie che prima producevano abbigliamento e lingerie convertirono rapidamente la loro produzione per contribuire alla richiesta bellica e al posto di materiali come la lana o la seta, il jersey, il rayon e le fibre manmade presero sempre più piede. La Gran Bretagna adottò il programma “Utility” che dettava regole precise riguardo l’utilizzo delle stoffe e della confezione dei capi, controllando l’85% di tutto l’abbigliamento presente sul mercato. Il risultato erano tailleur seri e composti, con poche tasche (o grandi tasche nascoste come nel caso dei cappotti, per trasportare cibo o beni di prima necessità), senza pinces e con al massimo cinque bottoni. In questo clima il “Make do and mend” venne portato avanti e ogni singolo scampolo di tessuto assumeva un significato prezioso e innovativo. Per far fronte alla compostezza di giacche, gonne e abiti, spesso si ricorreva all’utilizzo di copricapi e di turbanti, realizzati anch’essi con piccoli pezzi di stoffa. L’abbigliamento risultava quindi conservativo, severo con dettagli funzionali provenienti direttamente dalle divise militari.
Anche la posizione delle nazioni cambiò. La Gran Bretagna continuava a produrre abiti eleganti solo per l’esportazione, la quale favoriva l’entrata di denaro da riutilizzare per gli armamenti; la Francia perse il suo dominio nel campo della moda in seguito all’occupazione tedesca, sperando però al più presto di riacquistare la sua posizione. Nel frattempo, in America comparirono nuovi designer di abiti, gioielli e calzature (spesso provenienti dall’Europa, come nel caso dell’italiano Salvatore Ferragamo) che ottennero un grande successo. Spesso questi creatori portavano avanti il clima bellico progettando oggetti con bandiere americane, stelle e uccelli. Oppure introducendo fantasie colorate abbinate a tessuti come il gingham, il cotone e il denim. Alcuni invece raggiunsero una prestigiosa fama grazie all’industria glamour del cinema di Hollywood.
Finita la guerra, con la ripresa dell’economia le grandi città pian piano risorsero. Parigi per poter riconquistare la sua ricchezza e libertà, organizzò nel marzo del 1945 il Theathre De la Mode, una sfilata in miniatura voluta da Lucien Lelong, allora presidente della Chambre Syndacale de la Couture Parisienne. Egli pianificò una passerella con seicento bambole in miniatura di circa 60 centimetri, tutte in fil di ferro, con le teste modellate e con cappelli e acconciature all’ultima moda. Questo mini défilé ottenne un grandioso successo sia in Europa che in America e Parigi continuò ad essere capitale trainante nel campo della moda.
In questo clima di ribalta parigina, il 12 febbraio 1947, Christian Dior (ai tempi ancora poco conosciuto) presentò un nuovo esempio di silhouette, “a clessidra” che si ispirava sempre ai canoni del passato ma con un tocco di eleganza e di accentuata femminilità date da spalle arrotondate e giacche con baschine, che mettevano in risalto il punto vita, oltre a gonne (rinforzate da fodera di crine) ampie, sinuose e oscillanti.
Il New Look di Christian Dior era nato.
Monsieur Dior ebbe la capacità di catturare il mood, l’atmosfera e le richieste del momento delle donne, le quali avendo abbandonato il lavoro nei campi o il mestiere di autiste di ambulanze, volevano riscoprire la loro femminilità.
É proprio l’abito emblema della “Ligne Corolle” (Corolle, da corolla dei fiori) del 1947 simbolo e riassunto dello stile Dior, che apre la prima sezione della mostra dedicata interamente al New Look. Ricercatezza, sartorialità, femminilità, ricchezza, innovazione, conoscenza, qualità e proporzioni. Sono queste le parole chiave del lavoro di Monsieur Dior testimoniate da una bar jacket con baschina in shantung crema e da una ampia gonna di lana a pieghe di un nero profondo. Il look è posto al centro della prima sala, circondato da riferimenti, fotografie e sketch che accompagnano la visione. In alto la rivisitazione del New Look di Gianfranco Ferrè del 1991 in seta (gazar e shantung) con ampi revers e un’imponente cintura. In basso invece c’è l’interpretazione di Maria Grazia Chiuri della stagione SS 2017 Ready- to- wear, nel quale la giacca crema in lana con una baschina appena accennata richiama la bar jacket, in cui i bottoni hanno sulla parte frontale un dettaglio a filo circolare, proprio come quelli della giacca originaria, che però erano a quattro fori.
Proseguendo si accede in una sala buia illuminata dal riflesso degli specchi, in cui sono esposti alcuni capi che testimoniano il percorso effettuato da Dior sulle silhouette, sulle proporzioni e sulla costruzione del capo. Dal lancio della Linea Corolla fino al 1957, Dior creò 22 collezioni ognuna con 90 look, attraverso i quali ebbe la possibilità di sperimentare le diverse silhouette: dalla Linea Zig-Zag alla Linea Obliqua. Al centro di tutto però c’era sempre la donna, che veniva plasmata ma anche valorizzata non solo da giacche e gonne, ma anche da cappotti e abiti.
Le sale successive sono dedicate al rapporto di Christian Dior con la Gran Bretagna, in particolar modo ai viaggi con la famiglia durante l’infanzia e all’accoglienza che l’aristocrazia inglese ebbe nei confronti dello stilista. La scena è aperta dal ricco e decorato abito che la Principessa Margaret (Contessa di Snowdon, nonchè sorella minore della Regina Elisabetta II) indossò per il suo ventunesimo compleanno, fotografata da Cecil Beaton.
Il rapporto di Dior con l’aristocrazia inglese fu molto stretto. La prima sfilata di Dior avvenne a Londra all’Hotel Savoy nel 1950 e seguirono ben presto altri show al Blenheim Palace. Nel 1952 lo stilista fondò la C.D. MODELS, in cui si progettavano versioni ready-to-wear dei capi di haute couture destinati esclusivamente ad Harrods e ad un altro grande magazzino a Manchester. Successivamente, nel 1954 la compagnia venne rinominata CHRISTIAN DIOR LTD e firmò vari contratti con aziende manifatturiere inglesi, come la fabbrica Symington per i corsetti oltre ad alcune aziende di tessuti come Ascher e Cumberland Mills.
Oltre al legame con l’economia e l’aristocrazia reale inglese, Christian Dior divenne il creatore di riferimento per le giovani ragazze di alto rango inglesi e in particolar modo per il Ballo delle Debuttanti. Spesso erano le madri delle ragazze che si occupavano degli abiti per le loro figlie e per l’occasione decisero di affidarsi a Dior e alla sua creatività. Nel 1953 prima dell’evento il magazine Sketch pubblicò i nomi delle debuttanti e i disegni degli abiti che avrebbero indossato. Addirittura la giovane aristocratica Jane Stoddart, indossò per il suo matrimonio un abito firmato Dior, realizzato con una leggera mussola ricamata con fiori bianchi e foglie di filo metallico dorato.
La sala successiva è dedicata allo storicismo, cioè per lo stilista, l’esplorazione di un momento storico ed i fatti ad esso associati. Christian Dior citò spesso infatti nelle sue opere alcuni periodi storici, in particolar modo il clima di fine ‘800 della Belle Époque con le linee sinuose degli abiti e lo stile di metà 1800 della Contessa Eugenia de Montijo, moglie di Napoleone III. Le sontuose sete e le maestose e ricche silhouette furono per Dior punti di riferimento, tanto che i locali di Avenue Montaigne 30 ricordavano i colori e l’architettura dell’edificio Petit Trianon a Versailles. Nella sala semicircolare di candido bianco, con finestre illuminate e scenari parigini, la sensazione che ho provato è di assoluto incanto e di ritorno al passato. Un grande specchio (forse anche questo è un piccolo riferimento a Versailles e alla Sala degli Specchi) posto dietro ai capi centrali ma davanti all’entrata rende tutto più spazioso e luminoso. All’interno dello scenario, abiti ricamati, con tessuti preziosi interpretati dai direttori artistici e stilisti successivi a Dior. In ogni abito si percepisce la ricerca storica, modellistica, dei tessuti e dei ricami, nonchè le altrettante ore di lavoro spese per realizzare tanta magnificenza. In particolar modo sono rimasta affascinata dall’abito di John Galliano Haute Couture SS 2005, in seta satin, con piume, ricami e cristalli Swarovski e dall’abito di Raf Simons Haute Couture AI 2014 in seta con un richiamo agli acquerelli del 1700.
La sezione e sala successiva è dedicata al tema del viaggio, molto caro per lo stilista. Christian Dior ebbe la possibilità di viaggiare parecchio e di vedere con i suoi occhi le diversità delle culture e le ispirazioni che esse possono dare. Nei suoi capi appare la ricerca e la conoscenza di ciò che lo circondava e i suoi successori sono riusciti a porre la stessa attenzione all’esplorazione del nuovo, interpretando l’idea del viaggio in un modo personale e unico.
Nella sala successiva (appartenente alla Sezione 6, Il Giardino) il tema del fiore e l’idea che Dior introdusse con la Linea Corolla è estremamente chiara. Sin dalla giovane età Christian Dior fu affascinato dai giardini, soprattutto da quello nella sua dimora a Granville che sua madre Madeleine coltivava e curava con passione. Dior provava pace nel disegnare circondato dai fiori e l’elemento del fiore fu d’ispirazione per le stampe, i ricami intricati e per le fragranze firmate Dior. La sala giardino è magica, sul soffitto rose e petali monocolore illuminati e tutt’intorno abiti ricamati a mano e stampati.
Uscendo dalla sala dedicata al tema del giardino si accede ad una sorta di corridoio a serpentina e ai lati rialzati gli abiti in ordine cronologico dei direttori artistici e stilisti che hanno continuato il percorso iniziato da Dior e concluso precocemente con la sua morte nel 1957. Dall’anno della scomparsa di Monsieur Dior al 1960, il giovane Yves Saint Laurent prese le redini della maison proponendo la Linea Trapezio e capi da un’allure giovanile. Dal 1961 al 1989 il compito di direttore artistico passò a Marc Bohan che guidò la casa di moda in alcuni decenni punto di svolta per la moda, dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, caratterizzando le sue creazioni da forme semplici, creando movimento con embellishment o bottoni. Dal 1989 fu l’italiano Gianfranco Ferrè ad avere il compito presso la maison Dior. I suoi abiti lasciano trasparire la sua formazione da architetto. Sono silhouette strutturate, con tessuti ricchi ed elementi di decoro. Il percorso prosegue poi con la grandiosità e l’eccesso delle opere di John Galliano (da Dior dal 1996 al 2011). Veri e propri costumi di scena, in cui i vari e differenti elementi sono in sintonia tra di loro e dai quali traspare tutta la bravura degli ateliers. Dal 2012 al 2015 fu Raf Simons ad assumere il ruolo di direttore creativo della casa Dior. Conosciuto per il suo minimalismo, riuscì comunque a dare dei tocchi di romanticismo e di femminilità, con un’estrema attenzione alla modellistica. Le ultime creazioni della sala prima di entrare in un nuovo scenario, riguardano la prima direttrice donna della maison, Maria Grazia Chiuri. La stilista ha reso il marchio Dior maggiormente in connessione con le persone, cercando un legame con chi ha un messaggio ben preciso da comunicare. La donna con le sue debolezze ma anche con i suoi “poteri” è al centro di tutto, ed ogni aspetto ruota intorno ad essa. Le donne del passato e del presente sono l’ispirazione maggiore, attorniate da un mix di sartorialità ed eleganza, da abiti comunicativi e romantici.
Si entra in seguito in una sala bianca e luminosa con tantissimi manichini e tele, chiamata Ateliers. Gli ateliers in tutti gli anni della maison Dior hanno ricoperto un ruolo fondamentale; senza la bravura di mani esperte, nessuna nuova silhouette, nessuna nuova proporzione e qualsiasi nuova tecnica di ricamo sarebbe stata possibile. Le figure di riferimento all’interno del reparto inizialmente erano tre donne formidabili, ma pian piano il team comprese sempre più sarte e modelliste.
Dalla sala delle tele si accede ad un corridoio in cui sono esposte tutte le testate di moda in cui viene citata la casa di moda Dior o quelle riviste in cui un abito Dior è presente in copertina. Accanto un’enorme vetrata tramite la quale è possibile ammirare gli accessori (scarpe, guanti, boccette di profumo, packaging di make up, borse, illustrazioni ecc.) pezzi chiave della storia della maison.
Per descrivere l’ultima sala semplicemente non esistono parole esatte. Credo di aver vissuto attimi in cui volteggiavo in un universo superiore con abiti spettacolari. Un universo dove solo la magnificenza dell’arte può esistere. Semplicemente un incanto. La sala circolare è dedicata agli abiti da ballo e a tutti quegli abiti che sono stati realizzati su misura per sfilare sui red carpet di eventi internazionali. La luce cambia, il soffitto cambia e gli abiti con i loro scintillanti ricami assumono sempre colori e sfumature diverse. Dal 1947 ad oggi questi abiti sanno raccontare un’emozione; corpetti ricamati, pieghe scolpite nello spazio, drappeggi infiniti, strascichi e ancora swarovski e paillettes. I manichini minimalisti con le loro gestualità eleganti e le loro acconciature e maschere (create da Stephen Jones) indossano magicamente queste creazioni da ballo e danzano, danzano sotto ad un cielo multicolore.
La mostra si conclude con un abito creato da Maria Grazia Chiuri per la presentazione a Shangai della collezione Haute Couture SS 2018. L’abito in tulle plissettato vede ricamata la firma di Christian Dior che era posta originariamente su un ventaglio di carta anni Cinquanta anch’esso caratterizzato dalla tecnica del plissè. La gonna riprende la stessa tipologia di pieghe e di forma.
Quasi come se volesse essere un saluto ai visitatori. Dal 1947 ad oggi, au revoir!
Il mio parere riguardo questa esposizione è più che positivo, non avevo mai assistito ad una mostra così ben curata in ogni minimo dettaglio, dall’acconciatura dei manichini allo spazio espositivo. Le opere esposte erano di altissimo livello e credo che lo spettatore per circa 2-3 ore sia stato catapultato in una realtà parallela vivendo un sogno ad occhi aperti. L’unico neo negativo è stato forse il troppo buio in alcune stanze e la difficoltà di lettura della didascalie, disposte in alcuni punti troppo lontane dal capo o dall’oggetto di riferimento.
La mostra Christian Dior: Designer of Dreams curata da Oriole Cullen era possibile visitarla dal 2 febbraio 2019 all’ 1 settembre 2019 (è stata prolungata a questa data visto il numero di affluenze). Il biglietto per l’esposizione l’ho acquistato direttamente dal sito ufficiale del Victoria&Albert Museum circa tre mesi prima, considerando la velocità con cui stavano finendo i posti. C’era la possibilità direttamente dal sito di iscriversi anche a dei workshops che il museo organizza sulla mostra di riferimento.
Immancabile era ovviamente lo shop allestito per la mostra, in cui si poteva acquistare il catalogo della mostra, ma anche libri sulla maison Dior e sulla moda in generale. Oltre a ciò anche postcards, sketchbook, poster e gadget di cucito.
Voi siete riusciti ad organizzarvi per vedere la mostra? Cosa vi ha colpito maggiormente?
Di seguito un video/intervista a Stephen Jones, famoso modista e artista che ha collaborato alla mostra mostra Christian Dior: Designer of Dreams.
Valentina
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